Leonardo Sciascia, nato 100 anni fa, l'8 gennaio, morto 31 anni fa, morto il 20 novembre 1989. Come narratore esordisce con libri dedicati alla sua Sicilia, cominciando con i suoi ricordi di maestro in 'Le parrocchie di Regalpetra' (cittadina dietro cui si nasconde la sua natale Racalmuto in provincia di Agrigento, cui è sempre tornato tutta la vita) e 'Gli zii di Sicilia', lucidi, ironici, con già sottotraccia quella sua forte formazione illuminista e direi volterriana ('Candido, ovvero un sogno fatto in Sicilia' è un suo titolo, del 1977, e c'è poi su quella linea 'Il consiglio d'Egitto'). Da lì viene quel suo impegno, concreto e che diviene anche e sempre più altamente metaforico, nel cercar di raccontare e spiegare i segreti e i meccanismi di potere nella sua terra, a partire da quello mafioso che tutto contamina (e si ricordano 'Il giorno della civetta' e 'A ciascuno il suo' nei primi anni '60) e poi, allargando la sua paziente esplorazione, nell'Italia democristiana e socialista in genere (e citiamo 'Il contesto', 'Todo modo' per arrivare a 'L'affaire Moro' negli anni '70), con risultati a volte accolti come provocatori.
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Sciascia, nato nel 1921, consegue il diploma magistrale nel '41 e lavora al Consorzio Agrario a Racalmuto, conoscendo la realtà contadina e la società siciliana delle campagne, fino al 1949 quando diviene maestro elementare. Come scrittore debutta nel 1950 con un volume di poesie, 'Favole della dittaturà (recensito da Pasolini), e quindi con 'Gli zii di Sicilià (su una copia del quale si dice il padrino Genco Russo gli chiese la dedica dopo un'intervista e l'autore scrisse: «Allo zio di Sicilia, questo libro contro tutti gli zii»), racconti di rivisitazioni storiche con l'ottica di proletari siciliani cui seguiranno i due successivi romanzi gialli sulla mafia, più riusciti e compiuti, dopo i quali e dopo i saggi 'Morte dell'inquisitore' e 'Feste religiose in Sicilia', nel 1969 inizia a collaborare col Corriere della Sera. Arriveranno quindi i due racconti sempre tinti di giallo 'La scomparsa di Majorana' e 'Il teatro della memoria', prima del suo impegno attivo in politica che lo vede eletto consigliere comunale a Palermo nel 1975 come indipendente del Pci, con dimissioni dopo due anni, per accettare nel 1969 la candidatura nelle liste radicali in Europa e alla Camera dei Deputati, per la quale opta dopo due mesi a Strasburgo, finendo negli anni '80 per esprimere pubblicamente le sue simpatie per il Psi e chiedendo candidamente a Craxi di rinnovare la classe politica siciliana, attirandosi ironie e attacchi.
Così è contro il Pci del 'compromesso storico', poi è perché si tratti con le Br per Moro, è critico verso i riconoscimenti al pentitismo, si attribuisce a lui l'affermazione «Né con lo Stato né con le Br» e denuncia alla Camera la possibilità di torture nella lotta al terrorismo. Uomo irrequieto, insomma, sempre alla ricerca di qualcosa che gli sembrasse più consono e meno allineato per inseguire il proprio bisogno di non appartenenza e essere contro, che cerca sempre una sua ottica sulle cose, arrivando a scrivere nel 1987 un celebre articolo 'Contro i professionisti dell'antimafia' che gli procurò isolamento e critiche aspre da tutto il mondo della cultura e della politica di sinistra, con tali contraccolpi che finì poi per lasciare il Corriere e andare a collaborare con La Stampa.
I suoi romanzi trovano, come si è detto, la propria forma in un'abile chiave gialla, come genere coinvolgente che nasce dalla sua ricerca illuminista della verità, ma corretta (vincitore del Premio Pirandello nel 1953 e autore di 'La corda pazza', scritti che sin dal titolo rimandano alla teoria espressa nel 'Berretto a sonagli') da un'essenziale nota pirandelliana, per la vena ironica di fondo legata a quella impossibilità obiettiva di distinguere tra le diverse ottiche della verità e della menzogna.
Per alcuni versi quindi i gialli di Sciascia sono anticipatori di quella linea poi del noir mediterraneo (da Izzo a Carlotto) che userà il genere per farne denuncia civile, sociale e di costume. In questa ottica, complementare tema di Sciascia è certamente l'importanza del ricordare, della memoria, e La Memoria chiamerà la collana che ideerà e dirigerà per l'editore Sellerio.
L'intervista alla figlia
«Essere la figlia di un padre come Leonardo Sciascia è l'esperienza più bella che possa capitare». Il ricordo di Anna Maria Sciascia è ancora segnato dal dolore e da forte rammarico: «E' mancato troppo presto».
Ma che padre è stato il maestro di Racalmuto di cui ricorre il centenario della nascita? Le parole della figlia ne scolpiscono un profilo quasi inedito e proiettano la memoria in una dimensione molto intima e familiare. Era un padre «tradizionale, molto protettivo, pieno di delicatezze».
Anna Maria lo ricorda quando, in cucina all'ora di pranzo, si sceglieva un angolo, poi si alzava e aiutava a sparecchiare. Lo era per stile di vita, ma la presenza di sei donne (la moglie, tre zie, due figlie) finiva per accentuare la sua timidezza. La sua presenza in famiglia si manteneva su un piano di leggerezza. E leggero era anche sulla formazione e sulle letture delle figlie.
«Quella più versata verso lo studio - dice Anna Maria - era mia sorella che anche nei giochi interpretava la parte della maestra. Io ero magari meno interessata e più legata a una dimensione di vita 'casalinga'. Ero più vicina alla condizione della zia Nica, la donna di casa. Mio padre ne teneva conto anche nei suggerimenti delle letture. Federico De Roberto era uno dei suoi autori più apprezzati. E mentre a mia sorella dava da leggere I viceré, a me dava il suo romanzo minore, L'illusione».
Sciascia era un narratore ma anche un curioso testimone di storie locali. La sua fonte principale era il circolo Unione, che descrive nelle 'Parrocchie di Regalpetra', ma anche le zie lo tenevano informato sulle storie di paese. Lui le riprendeva e a sua volta le narrava come favole al nipotino Fabrizio. Parlava anche dei suoi romanzi sin dalle prime battute. Ma, ricorda la figlia, «la prima lettrice era mia madre».
A lei restava solo un modo per conoscere e apprezzare gli scritti del padre: «Quando non era in casa andavo a leggere quasi furtivamente i suoi fogli. La vivevo come un'intrusione». La casa era sempre piena di amici: quelli dell'infanzia, come Stefano Vilardo, e quelli del giro culturale che spesso si recavano a trovare Sciascia in contrada Noce dove la famiglia passava l'estate.
«Spesso arrivavano - ricorda Anna Maria - senza avvisare. E tutti si fermavano a mangiare. A Francesco Rosi, che stava girando il film 'Cadaveri eccellenti' ispirato al 'Contesto', venne offerto pesce. Rosi lo trovò freschissimo. Era stato invece preso dal congelatore. Alla Noce venivano anche Vincenzo Consolo e Gesualdo Bufalino sempre accompagnato dal fotografo Giuseppe Leone. Parlavano di tutto: di letteratura, di arte, di cinema».
Bufalino era un'amicizia della maturità, nata nell'ambiente della casa editrice Sellerio. Era stato Sciascia a scoprirlo. Con Consolo la conoscenza era più antica. Anna Maria Sciascia la colloca nel 1964. Consolo raggiunse lo scrittore a Caltanissetta. «Doveva essere un incontro breve. E invece finì che Consolo rimase tre giorni a casa nostra. I familiari, che non avevano più sue notizie, lo davano per disperso».
A Sciascia quel giovanotto era piaciuto. «Lo trovava fragile, anche se aveva grandi doti letterarie. Finì paternamente per adottarlo».
Uno degli incontri più stimolanti e più curiosi che Anna Maria Sciascia ricordi fu quello con Lino Jannuzzi, allora giornalista dell'Espresso, che arrivò con la moglie e con un monsignore. Quel pranzo fu accompagnato da un'interessante discussione sul cristianesimo. Visto da una prospettiva laica, il tema era presente nelle opere e nelle riflessioni di Sciascia. «Erano i valori - ricorda Anna Maria - a stimolare il rapporto con il cristianesimo. Ma credo che non possa sfuggire comunque un senso di mistero».