Scicli - Lo conobbi in una balera di Donnalucata una sera afosa di giugno di alcuni anni fa.
La luna era immensa su un mare quasi piatto che sembrava più un deserto di sabbia che d’acqua.
D’un tratto, per un intimo senso di disagio, mi ero sentito solo con la mia solitudine, inappropriato in un luogo dove tutto era festa e musica e solo io non riuscivo a divertirmi.
Ero seduto su una poltroncina di ferro, centellinavo il mio secondo whisky con ghiaccio guardando con occhi inespressivi e spenti il mare.
Un’orchestrina suonava pezzi all’ultima moda, liscio e boleri, due cantanti si alternavano sulla pedana.
Il mondo girava vorticosamente intorno a me senza che me ne accorgessi.
Mia moglie con altre amiche si era allontanata per dare sfogo ai soliti pettegolezzi.
Sentivo la brezza della notte inumidire la fronte, le sopracciglia. No, non era sudore, forse ansia, forse consapevolezza di un fallimento esistenziale.
Tutti ridevano, ballavano, io no.
Mia moglie ritornò dopo una mezz’oretta accompagnata da una coppia. Mi presentò lei, una vecchia compagna di università, poi mi presentò il marito, Corrado, un promettente notaio palermitano.
Li guardai con aria stanca, avranno pensato che fossi scortese.
La signora continuò tra effusioni e risate squillanti a chiacchierare con mia moglie, risuscitando dal loro passato vecchi fantasmi e lontani ricordi. Lui sedette accanto a me e tentò un approccio verbale che voleva farlo sentire a suo agio.
Lo guardai con occhi sospettosi ma decisi di assecondarlo.
Corrado era un uomo bellissimo, maturo come me, vestiva con eleganza e gusto. I suoi modi erano garbati e anche la sua voce pacata suggeriva un equilibrio interiore che io purtroppo non avevo.
Il suo modo di raccontarsi mi catturò a tal punto che non feci più caso alla luna.
Quando le mogli si separarono, Corrado mi propose di rivederci. Dal portafoglio estrasse un biglietto da visita e me lo porse. Mi strinse la mano con un calore inaspettato. Intascai il biglietto. Rincasammo.
Dimenticai quell’incontro. Mia moglie spesso, avendo ragione, mi rimproverava di essere un asociale, un lunatico, l’eterno indeciso, l’uomo del “forse” o del “semmai”.
Una mattina, dopo qualche settimana, ero in ufficio, sentii squillare il telefono. Era lui che m’invitava a consumare una granita in uno dei bar del centro.
Non volevo sembrare scortese e, dunque, accettai.
Ci ritrovammo in piazza a un tavolino.
Ordinammo delle granite, lui fragola e panna, io caffè con panna.
Questa volta Corrado non si sentiva a disagio. Molto più sciolto, ritornò a raccontare la sua vita, i traguardi professionali, la sua esperienza coniugale. Non aveva avuto figli dalla moglie ma non sembrava preoccupato. Parlava come se mi conoscesse da sempre ed io fossi stato il suo migliore amico.
Lo guardai con interesse. Sentii che esercitava ora su di me un fascino che quella notte in balera non avevo percepito, forse per colpa del doppio whisky.
Continuammo a vederci per tutta l’estate. Le mogli erano molto contente della nostra amicizia.
Alla fine dell’estate, la coppia tornò a Palermo. Lui per tutto il mese di agosto aveva fatto il pendolare.
Alla partenza, Corrado mi salutò con un velo di tristezza negli occhi e sentii la sua mano stringere la mia come neppure la prima volta era successo.
Da Palermo solo telefonate sporadiche.
Una mattina squillò il telefono del mio ufficio. Era lui, mi chiedeva un appuntamento a Donnalucata per discutere con me di una faccenda molto riservata nella balera dove ci eravamo conosciuti. Non potevo negarmi. Lo raggiunsi un tiepido pomeriggio di ottobre, come d’accordo.
Seduti a un tavolino, la balera ormai era quasi deserta e con pochi habitués, davanti a una tazzina di caffè, in principio Corrado teneva gli occhi bassi e girava intorno all’argomento. Lo incoraggiai. Mi parlò del suo matrimonio, questa volta con molta verità. Un matrimonio d’interesse, senza amore e solo di convenienza. Lei ricchissima, lui povero professionista, privo di risorse, alle prime armi. Un’unione senza figli e senza scopo.
- Perché mi hai chiesto questo incontro? – Gli chiesi, incuriosito e molto intrigato dalla sua storia.
-Sono bisessuale. – Confessò a testa bassa. – Mia moglie ha trovato un biglietto con numeri di telefono in una tasca della giacca. Ha ingaggiato un investigatore privato e così ha scoperto il mio amante. Mi chiede la separazione.-
Lo guardai con molta pena. Non sapevo consigliarlo.
-Anche il mio matrimonio non è stato felice. – Lo consolai. -Non mi sono mai chiesto, però, se amare un uomo sarebbe stata la soluzione migliore alla mia disperazione. –
- Da te mi sono sentito capito e accettato. Voglio ringraziarti per questo. Non riesco purtroppo a decidermi tra lui e lei. – Disse.
- Che farai allora? – Domandai.
- Non lo so. Le concederò anche il divorzio, forse, se me lo chiede. Mentire per me era diventato un inferno.- Concluse. Lasciò una banconota a saldo del conto e anche per una lauta mancia. Andammo via.
-Dovevo parlarne con qualcuno. Sarei impazzito altrimenti. – Aggiunse. - Ho scelto te perché dal primo momento che ti ho visto, ero sicuro di non essere giudicato.-
Corrado aguzzò gli occhi per scrutare meglio il mare, per scoprire se qualcosa, nella linea appena percettibile dell’orizzonte lontano, unisse il cielo all’acqua. Cercava una soluzione, un compromesso forse, tra due amori impossibili.
Al juke-box qualcuno aveva scelto di sentire “Quizás, quizás, quizás” del cubano Osvaldo Farrés. Era lo stesso bolero che in una notte di giugno nella quale mia moglie me lo aveva presentato un cantante anonimo aveva interpretato nella balera. Una fortuita coincidenza o un crudele avvertimento del destino alla sua eterna indecisione?
Lo vidi allontanarsi sulle note della canzone verso la macchina barcollando, più leggero ora di quanto non lo fosse all’arrivo.
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