Catania - "Sulla riforma del catasto la destra mente: non prevedeva un aumento delle tasse generalizzato e anzi, se si fosse cambiata l'imposizione fiscale sulla casa, si sarebbero aiutate le classi medio-basse a discapito dei più ricchi. L'accordo trovato con Draghi, invece, ci fa tornare indietro di anni". Intervistato da Fanpage, Salvatore Giuffrida - docente di Valore di stima immobiliare all'Università di Catania - sostiene che la riforma contenuta nella delega fiscale, dopo la quadra trovata in maggioranza, è debole. Uno degli obiettivi è mappare entro il 2026 tutti gli immobili, per favorire l'emersione di quelli cosiddetti "fantasma" da parte dell'Agenzia delle Entrate: si creerà una Banca dati aggiornata, una nuova Anagrafe immobiliare. Gli immobili non censiti al Catasto sarebbero infatti circa 4 milioni, metà appartenenti a persone fisiche e metà a società: in molti casi violano le norme urbanistiche, edilizie e di tutela del paesaggio.
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Anche per questo, specie in Sicilia, si insiste su una sanatoria delle case abusive. "C'è da dire però che la loro emersione è un processo già in atto” dice l’esperto, illudendosi che “l'Agenzia si sia attrezzata tecnicamente in modo tale da censire sul territorio tutti gli immobili non accatastati. Poi c'è la revisione degli estimi e delle rendite catastali - aggiunge -, che costituiscono le basi imponibili di imposte che dipendono dalle aliquote”. “A prescindere dalle tasse – continua - l’aggiornamento dei valori catastali è sostanziale, considerato il livello di iniquità della fiscalità immobiliare: attualmente i valori sono random, non corrispondono né a quelli di mercato né alle loro caratteristiche”. Invece nell'ultimo accordo "pare che verrà eliminato dalla mappatura ogni riferimento ai valori patrimoniali, ma è il mercato della compravendita che dà il valore dei beni e solo considerando questi è possibile differenziare i valori tra immobili che presentano differenti caratteristiche fisiche e ubicazionali".
Insomma, un Catasto di redditi anziché uno di valori: “Una volta si riteneva che un bene valesse in funzione di quanto rende e il sistema del Catasto, che risale agli anni '70, riflette quello schema. Oggi, con la finanziarizzazione del settore, il valore dipende dal mercato e dalle sue prospettive future. In Italia, invece, si calcola moltiplicando per un certo numero di anni-reddito le rendite catastali fissate da decenni e ormai anacronistiche. Questo moltiplicatore è diverso per i tre principali segmenti - residenziale, direzionale e commerciale - ma non dipende dalla localizzazione geografica, prescinde quindi dalle principali variabili che regolano il rapporto tra rendita e valore di mercato. Per stimarlo in modo più equo bisogna partire dai dati del mercato – insiste Giuffrida - altrimenti le ingiustizie permarranno e probabilmente aumenteranno”. In soldoni, significa che i più ricchi pagheranno meno tasse di quanto dovrebbero, mentre i più poveri esattamente il contrario.
Le disuguaglianze tra centro e periferie nell'imposizione fiscale diretta (come l'Imu) e indiretta (come le imposte di registro e l'Iva tramite l'Isee) resterebbero, quindi, inalterate, e le tasse non aumenteranno proporzionalmente per tutti. “Lo status quo del Catasto fa continuare a pagare più tasse ai proprietari delle aree più fragili - spiega il prof - i cui valori catastali sono superiori ai valori di mercato, mentre continua a mantenere i privilegi degli strati più ricchi: se non si riformano i valori catastali, il prezzo di questa mancata riforma sarà pagato dai più poveri, residenti nelle aree interne e nei quartieri più degradati”. L’unica era cambiare la tassazione sulla casa: “Sarebbe stata un'operazione di equità e non vuol dire introdurre una patrimoniale, perché la delega fiscale non interviene né sulle tipologie di imposta e nemmeno sulle aliquote da cui le imposte dipendono”.