Ragusa – I dati Fipe/Infocamere non lasciano spazio a troppe interpretazioni: in 18 mesi di epidemia Covid in Sicilia hanno chiuso 1.529 locali, di cui 1.168 ristoranti e 361 bar. Gli spiccioli dei “ristori” (quando sono arrivati), i vaccini e l’uscita dalla fase acuta dell’emergenza non sono riusciti a invertire il trend. La mazzata del 2020 è stata troppo forte per consentire a tutti gli operatori della ristorazione di rialzare la testa: da gennaio a giugno 2021 sono state altre 358 le dichiarazioni di fallimento arrivate da tutta l’Isola sul registro della Camera di commercio. Il graduale ritorno alla normalità, di fatto, è cominciato solo da aprile: troppo tardi.
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Il comparto aveva già perso oltre un miliardo di euro e il fatturato di ogni singola attività è crollato in media del 65%, con punte del 95% per alcuni ristoratori. Zone rosse e smart working hanno lanciato delivery e acquisti online: finito il lockdown, sono rimaste un’abitudine per molti consumatori, altrettanto impoveriti, per cui rappresentano un’opzione molto più economica che sedersi al tavolino del locale. I prezzi di cibo e bevande in trattorie e pub sono aumentati, nel tentativo di rifarsi degli incassi persi, col risultato di allontanare ancor più una buona fetta di clienti.
Questa estate molti titolari hanno denunciato anche l’influsso controproducente avuto dal reddito di cittadinanza sul mercato del lavoro, a causa delle paghe poco competitive che potevano permettersi. La soluzione è stata abbassare per sempre la saracinesca. E «ci aspettiamo ulteriori chiusure a fine anno - aggiunge Dario Pistorio, presidente regionale Fipe –. A dicembre termina il blocco dei licenziamenti: o riassumono o licenziano il personale, ma in questo caso dovranno dare la liquidazione e i soldi non ci sono. A farne i conti più del resto d’Italia è stata proprio la Sicilia, qui le restrizioni sono state più lunghe». Non è un caso che le imprese che più di altre sono riuscite a sopravvivere siano state quelle a conduzione familiare, che gestiscono l’attività in proprio senza dover assumere nessuno.