Milano - Anche Filippo La Mantia lamenta la mancanza di personale: non cuochi, ma camerieri. La notizia desta un certo stupore trattandosi di uno chef stellato e non di un barista di periferia, e cercando lavoratori per il suo ristorante al Mercato Centrale di Milano e non nella sua Sicilia regno del reddito di cittadinanza. “Sono disperato – dice -, non trovo camerieri, le prime domande che mi sento fare ai colloqui sono: posso avere il part time? e posso non lavorare la sera? I ragazzi hanno proprio cambiato mentalità: fino a prima del Covid per loro era importante trovare un impiego, adesso è più importante avere tempo. Non sono disposti a lavorare fino a tarda notte o nei giorni di festa: hanno scelto di mettere al centro della propria vita il tempo”.
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E come dargli torto? Del resto parliamo di apparecchiare i tavoli, non di inventarsi ricette e partecipare ai programmi in tv. La Mantia sostiene di essere spesso costretto a servire personalmente i propri clienti e la “colpa” sarebbe il Covid: “Ci ha fatto capire che prima vivevamo in un frullatore senza nemmeno rendercene conto”. Dinanzi a questa presa di coscienza, chi non vive la ristorazione come una vocazione ma solo come un lavoro, ha scelto di abbandonare non essendo disposto a sacrificare la propria vita personale e desiderando realizzarsi come persona anche al di fuori del contesto lavorativo. Ma quanto offre come paga? “Come livello base 22mila euro lordi l’anno, cioè 1300/1400 euro netti al mese, per turni di 8 ore, soprattutto nella fascia 16-24, con straordinari pagati. Ma il fatto di dover essere impegnati fino a mezzanotte li fa scappare”. La paga, comunque, non è così elevata per lavorare in un ristorante di lusso e soprattutto vivere e mantenersi nel capoluogo lombardo.
Di recente pure il collega Alessandro Borghese ha lamentato di non riuscire a trovare personale, perché le nuove generazioni vorrebbero (giustamente) più garanzie rispetto alle precedenti: “Ci si è accorti che non è un lavoro tutto televisione e luccichii, che è faticoso e logorante – ha spiegato Borghese – e mentre la mia generazione è cresciuta lavorando a ritmi pazzeschi, oggi è cambiata la mentalità e chi si affaccia a questa professione vuole garanzie”. L’impressione, a volte, è che questi chef abituati alle code davanti alle loro cucine confondano il desiderio di libertà con una maggiore consapevolezza dei diritti dei lavoratori e la richiesta di adeguate tutele contrattuali.