Economia L'ingiustizia

Ragusa, dilaga il “lavoro grigio”: la schiavitù dal campo alla tavola

Stranieri dei senza casa, diritti, assistenza medica e speranza: vogliamo togliergli anche la dignità

https://www.ragusanews.com/immagini_articoli/27-10-2021/ragusa-dilaga-il-lavoro-grigio-la-schiavitu-dal-campo-alla-tavola-500.jpg Ragusa, dilaga il “lavoro grigio”: la schiavitù dal campo alla tavola


 Ragusa – Nella filiera di frutta e verdura - dagli orti al magazzino, dal mercato al nostro piatto innocente - va in scena ogni giorno lo sfruttamento senza scrupoli e la disparità di trattamento umano ed economico, sommerso dietro il fiorente comparto agricolo: in Sicilia vale 4 miliardi, l'8% del Pil regionale indotto escluso, il doppio della media nazionale. La ricchezza non viene equamente distribuita tra i braccianti stranieri che la producono: secondo Flai-Cgil, in campi e serre di tutta l'Isola se ne contano quasi 35mila impiegati a tempo determinato e appena 300 a tempo indeterminato.

Parliamo di denunciati perché sono incalcolabili gli “informali”, vittime del caporalato che costringe all’irregolarità totale: manodopera del Maghreb e, nel ragusano, in particolare dalla Tunisia. “Il lavoro nero è un problema che tuttora esiste ma a dilagare è il cosiddetto lavoro grigio - dice a Repubblica Veronica Indigeno di Usb Ragusa -, il contratto c'è ma le giornate dichiarate sono sempre meno di quelle reali. Se sei una donna dell'Est e lavori nelle serre - afferma la sindacalista -, sei un oggetto anche sessuale nelle mani del padrone, con una paga che spesso non supera i 15 euro al giorno”. Contratti per modo di dire - a cassetta o a giornata, con 35 euro per turni di 10 ore - insufficienti o non validi per accedere alla sanatoria: i nostri schiavi sono rimasti invisibili, sotto le tende.

Ci accorgiamo di loro solo quando restano vittime di incidenti. Alcuni sono richiedenti asilo usciti dal circuito Sprar, in attesa di essere convocati dalla commissione territoriale o di discutere il ricorso. Col decreto Salvini sono obbligati ad arrangiarsi: non hanno diritto all'iscrizione all'anagrafe e - di conseguenza - a un affitto, un’occupazione e addirittura un conto corrente. Vivono in ghetti di capanne e prefabbricati, perfino senz’acqua ed elettricità, limitrofi alle coltivazioni: baracca e lavoro. Eppure l’annata è andata bene, dall’uva alle olive fino alla frutta esotica: ce ne sarebbe per dare dignità a tutti. Sono esseri umani, non solo braccia.


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