Ragusa - Secondo la Cgil lo sblocco dei licenziamenti in programma dal primo luglio significherebbe in Sicilia la perdita secca di 57mila posti di lavoro: un decimo di quelli stimati da Bankitalia in tutto il Paese, per di più in una regione con un tasso di disoccupazione altissimo e dove il reddito di cittadinanza è una scialuppa di salvataggio per un cittadino su sette. Solo nei primi mesi del 2021, 270mila famiglie hanno fatto ricorso all’ammortizzatore sociale, che doveva servire a trovare lavoro ed è finito per sostenere le finanze di quasi 660mila siciliani: la regione è seconda in Italia e anche qui il sindacato avverte del pericolo di “macelleria sociale, se viene cancellato”. E’ stato un boom anche il reddito di emergenza, per cui c’era ancora tempo per fare domanda fino a ieri.
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Ma per chi lavora, sono decine le vertenze aperte sull'Isola: Coop, Gamac, Gicap, Meridi, Sielte. L'ultima è la Lukoil di Priolo Gargallo, dove 1.400 dipendenti sono già in cassa integrazione. Senza contare gli impiegati dei call center o le crisi delle piccole aziende. C’era bisogno di un dramma epocale per rendersi conto della totale assenza di diritti di milioni di lavoratori italiani. Economisti alla Fornero ci hanno raccontato che la precarietà era un modo di vivere molto allegro, moderno, flessibile; e ora stiamo per toccare con mano la disperazione della gente, dominata dall’incertezza nei confronti del futuro, senza garanzie sulla prosecuzione del lavoro e sulla retribuzione che percepirà nei prossimi mesi. Siamo gli unici al mondo ad avere ancora il blocco dei licenziamenti, che si è velocemente trasformata in un altro sussidio assistenziale, ma se le imprese chiudono la sua proroga diventa un problema secondario.