Ragusa - Versalis a Ragusa inizia il conto alla rovescia, trasferimenti e licenziamenti La sensazione è quella che a Ragusa, estratte le ultime gocce di petrolio, di Eni non resterà nulla. Né gli impianti di produzione, e nemmeno i lavoratori.
Si fa sempre più angosciosa la situazione dello stabilimento Versalis di Ragusa che, con le note di chiusura entro fino anno, annunciate da Eni, ha destato apprensione e sconforto tra lavoratori e parti sociali.
Le recenti dichiarazioni di Giuseppe Ricci, Direttore Operativo di Eni, e Daniele Alfani, Amministratore Delegato di Versalis, hanno sottolineato l'imminente chiusura dell'impianto ibleo. Questa decisione, secondo Ricci e Alfani, è stata dettata da un eccesso di offerta nel mercato europeo e dai prezzi competitivi dei prodotti importati, che rendono la produzione nello stabilimento di Ragusa non più sostenibile.
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L'impatto di questa chiusura sarà significativo. Circa 121 dipendenti diretti verranno trasferiti, mentre 250 lavoratori dell'indotto, inclusi gli autotrasportatori, rischieranno di perdere il proprio posto di lavoro. Licenziati, appunto. Uno scenario apocalittico impensabile fino a poche settimane fa che rappresenta un duro colpo per l'economia locale, con ripercussioni rilevanti non solo sul piano occupazionale ma anche sul tessuto sociale del territorio. Se i lavoratori dell’indotto verranno licenziati, il trasferimento dei lavoratori del diretto, senza riconversione industriale del sito, da quel che ci è dato capire, non sarà temporaneo e che, una volta trasferiti, i dipendenti di Versalis Ragusa non torneranno più in Contrada Tabuna. Perché a Ragusa, senza investimenti, senza riconversione industriale, Eni non ci sarà più. Giuseppe Ricci ha affermato che Eni ha destinato un investimento di due miliardi di euro per la riconversione della chimica di base in Italia, tuttavia, lo stabilimento di Ragusa non rientra in questo piano di interventi.
Al contrario, è prevista la dismissione dello stabilimento senza alcuna riconversione industriale. Ricci ha enfatizzato, con proprie dichiarazioni rese alla stampa, la necessità di individuare soluzioni alternative per garantire un futuro sostenibile per i lavoratori e il territorio. Daniele Alfani ha invece ribadito la decisione di chiudere l'impianto, sottolineando l'insostenibilità economica della produzione attuale. Alfani ha altresì evidenziato l'importanza di un piano di riconversione industriale per mitigare le conseguenze negative sul territorio di Ragusa. Soluzioni alternative sostenibili e un piano di riconversione che, nonostante le rassicurazioni dei manager Eni fornite alla stampa, al momento, non ci sono. Così come poco rilevante è stata finora la reazione della politica ragusana, mentre il numero del disastro -che è prima sociale e poi economico- con la chiusura del sito industriale di Eni a Ragusa, assumerà da qui a breve cifre sconvolgenti: 370 lavoratori, tra diretto e indotto, saranno delocalizzati e licenziati.
Le decisioni annunciate da Eni hanno provocato forti reazioni da parte dei sindacati e delle associazioni locali. I lavoratori, supportati dalla comunità, hanno manifestato la loro preoccupazione riguardo al futuro economico della zona e al potenziale impoverimento del territorio. La chiusura dello stabilimento Eni di produzione polietilene, dunque, senza un piano di riconversione chiaro, rischia di compromettere gravemente il tessuto sociale ed economico della città di Ragusa. È cruciale che le istituzioni locali, il governo, regionale e nazionale, assieme alle parti sociali collaborino per individuare soluzioni che possano garantire un futuro sostenibile per i lavoratori e per l'economia del territorio. Non c’è più tempo da perdere. La riconversione industriale potrebbe rappresentare una via d'uscita, ma richiede impegno e investimenti significativi da parte di Eni e la partecipazione di tutti gli attori coinvolti.