Acate – Era il 2 luglio scorso quando Daouda Diane fu visto per l’ultima volta, in video, armeggiare con alcuni attrezzi da lavoro nel cantiere della Sgv Calcestruzzi di Acate, denunciando le condizioni di lavoro dei migranti come lui: “Qui si muore” le sue ultime, profetiche, parole prima di sparire nel nulla. Premonitrici di quella che è una fine ormai certa anche secondo la Procura. “Era andato a bussare alla porta elemosinando un lavoro e l'azienda gli ha permesso di spazzare nel cortile pagandolo qualche euro, ma è andato un paio di volte e solo per qualche ora: la Sgv non ha nulla a che fare con la sua scomparsa” ripete ai media l’avvocato della ditta Mirko La Martina. Dall’altra parte della barricata il tenace sindacato Usb Ragusa, secondo cui il rapporto del 37enne di origini ivoriane con l’azienda non era esattamente occasionale e part-time, benché in nero, e le sue mansioni ben altre da quelle del netturbino.
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“Noi sappiamo che Daouda lavorava presso la Sgv da quattro giorni - dice Michele Mililli del sindacato di base -, il suo coinquilino ci ha detto che qualcuno lo andava a prendere alle 7 del mattino a casa e poi lo riportava nel pomeriggio, il che smentisce la versione dell'azienda secondo cui Daouda aveva elemosinato un lavoro e che andava sporadicamente in azienda”. Ora, due giorni di lavoro in più o in meno non è facciano la differenza, diverso invece – volendo prendere per buona tale affermazione – l’immagine del “taxi” andata e ritorno, che apre a un nuovo scenario: forse è lì, on the road, che potrebbero essere avvenuti omicidio e occultamento del personaggio scomodo. Ovvio che, essendo accaduto innumerevoli volte in passato e trattando la ditta proprio cemento, il pensiero di tutti vada al tristemente classico cadavere colato in un blocco: una aggressione o un incidente sul lavoro, prontamente "ripulito".
Chi l’ha ucciso e/o nascosto è stato bravo a sparecchiare la scena del crimine ma certo non sapeva dei filmati pubblicati online da Daouda poco prima, che avrebbero attirato tutti i sospetti proprio sulla ditta. I carabinieri avrebbero chiesto i filmati delle telecamere di videosorveglianza, che però quel giorno erano disattivate - spiega l'azienda - perché in manutenzione: altro elemento che, pur potendoci stare, non gioca certo a favore della Sgv. Un conto sono però le congetture, le ipotesi, le insinuazioni, in questo caso pesantissime; altro sono i fatti. I Ris di Parma che hanno ispezionato l’area non hanno trovato elementi che indichino nel cantiere il luogo della sua esecuzione, sempre che di questo si tratti, e – non essendo di primo pelo - avranno certamente verificato la presenza di eventuali pilastri di edifici in costruzione, così come avranno messo qualche cellulare sotto intercettazione.
Ma al momento nessuno è indagato né è stato ufficialmente convocato in Procura per essere ascoltato. Daouda era in Italia da 9 anni, aveva regolare permesso di soggiorno, viveva in affitto in una stanza di un appartamento e si era perfettamente integrato nel tessuto locale ragusano. “Lui aveva partecipato alle nostre manifestazioni, ma non era attivo politicamente – spiega Usb Ragusa – era un lavoratore che denunciava agli amici e ai famigliari le condizioni nelle quali era costretto a lavorare. Lui alla nostra organizzazione sindacale non ha mai denunciato nulla direttamente, se lo avessimo saputo forse avremmo potuto fare qualcosa. Daouda non era uno di passaggio: aveva un figlio di 8 anni visto per l'ultima volta quando ne aveva 3, e soprattutto non ha mai avuto problemi qui in Italia”. Dunque, non era una testa calda: perché allora quel duro sfogo online, dopo appena 4 giorni di lavoro, anziché una regolare denuncia ai suoi solerti amici sindacalisti? I magistrati iblei devono sbrigarsi, più tempo passa più le risposte si allontanano.