Roma - Le ultime settimane del giornalista Andrea Purgatori sono percorse da una doppia certezza, secondo gli esperti. Primo: nessuno dei medici che nella clinica privata Villa Margherita di Roma lo ebbe in cura comprese davvero la patologia da cui era affetto, un’endocardite (infezione delle valvole cardiache) che conviveva con un tumore ai polmoni.
Secondo: una semplice terapia antibiotica avrebbe potuto allungargli la vita. Viceversa, Purgatori iniziò a morire la notte fra il 16 e il 17 giugno 2023 per l’inerzia degli specialisti. Primo fra tutti Guido Laudani che da medico curante, cardiologo, omise l’individuazione della patologia ormai in fase conclamata. Morì la mattina del 19 luglio. Nella consulenza richiesta dal pm Giorgio Orano (a firma Luigi Marsella e Alessandro Mauriello) che, in seguito all’esposto della famiglia, ha indagato per omicidio colposo quattro medici curanti, si legge che Laudani «ometteva la prescrizione di accertamenti clinici, laboratoristici e strumentali finalizzati alla diagnosi di endocardite infettiva. Tali omissioni risultano a nostro avviso ascrivibili a imperizia e non rispondenti alle buone pratiche cliniche da noi individuate in letteratura». Perché mai proprio tra il 16 e il 17 giugno si verifica il passaggio cruciale? Perché prima di allora i segnali della presenza di una endocardite appaiono confusi mentre durante quel ricovero si manifestano con chiarezza.
Purgatori, inutilmente sottoposto a terapia anticoagulante ma anche a radioterapia per aggredire ipotetiche metastasi cerebrali diagnosticate dal professor Gianfranco Gualdi, lamenta un malessere significativo: la febbre è salita, l’autonomia è compromessa. I segnali di una malattia importante appaiono clamorosi. In quel caso «sulla base dei dati clinici, radiologici e della terapia impostata era opportuno valutare altre ipotesi diagnostiche oltre a quella proposta dalla dottoressa Giallonardo di un’embolia conseguente a una fibrillazione atriale» scrivono i consulenti del pm. Eppure non si riusciva a individuare una causa certa. Qualcuno pensò a una febbre da un’infezione urinaria. Ma le analisi diedero esito negativo.
«Sarebbe stato certamente opportuno — annotano gli esperti — eseguire un set di emocolture e richiedere una consulenza infettivologica. Gli accertamenti indicati avrebbero potuto intercettare il patogeno responsabile degli eventi febbrili e dell’endocardite infettiva con successiva richiesta di trasferimento in altra struttura». Il giornalista fu sottoposto a verifiche anche al Policlinico Umberto I, ma solo successivamente, troppo tardi. «All’Umberto I sostanzialmente con gli stessi elementi (di Villa Margherita, ndr) i sanitari sin da subito ipotizzavano un’endocardite batterica e tempestivamente effettuavano gli accertamenti necessari a confermare la diagnosi». La perizia ha escluso anche la presenza di metastasi cerebrali indicate dal professor Gualdi (indagato assieme al collaboratore Claudio Di Biasi, alla dottoressa Maria Chiara Colaiacomo e allo stesso Laudani) e aggredite con una radioterapia dagli effetti collaterali problematici. Sulla vicenda interviene la famiglia assistita dall’avvocato Alessandro Gentiloni Silveri: «Ad Andrea sono state diagnosticate e curate con urgenza metastasi cerebrali che al momento della morte si è scoperto non esistere. E questo ha portato a uno sviamento della corretta diagnosi e terapia».