Ragusa - "I deceduti glieli devo lasciare o glieli spalmo?" come si chiede al cliente se deve incartare il panino o lo consuma sul posto. Quella del 4 novembre è solo la prima della caterva di intercettazioni collezionate dai pm Trapani in 5 mesi di indagini sui dati Covid falsificati dall'assessorato regionale alla Salute. “Ora mi chiamò Ruggero - annuncia il suo braccio destro Letizia Di Liberti - dice domani mattina rivediamo tutti i parametri per capire qual è quello che ci ha fatto scattare l’arancione”. Ogni giorno un problema da risolvere, un dato da aggiustare per Di Liberti: “Il problema è se diventiamo completamente zona rossa” esclama un giorno; “Il problema sono i positivi che sono aumentati in maniera incredibile” ripete un altro. “Come lo hai sentito?” le chiede il vice capo di gabinetto, Ferdinando Croce, anche lui solo indagato; “Ah, seccato. Mi ha detto che non siamo stati capaci di tutelarci, i negozi che chiudono se la possono prendere con noi (…) Anche se in realtà, non ti dico, oggi è morta una perché l’ambulanza è arrivata dopo due ore. E’ partita da Lascari. Perché? Perché sono tutte bloccate nei pronto soccorso. Tutte».
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Già a novembre, quando partono le intercettazioni, i numeri esplodono e si riescono più a spalmare: prima di iniziare a inventarseli di sana pianta, il gruppo comincia a “conteggiare anche i tamponi antigenici - accusano i pm - di cui non si doveva tenere conto”. Nei report dell’11 e 12 novembre non vengono inseriti tout court i contagi Catania, che altrimenti farebbero saltare la posta. Il 14 i positivi da 1829 diventano «1729 - ordina Di Liberti -, abbiamo 100 da recuperare». Il 15: «Ci aggiungerei almeno altri 1500 tamponi, caricali su Catania e te ne freghi». Palermo è l’unico che, a un certo punto, solleva un barlume di scrupolo: «Ma io li devo fare appattare, se no poi non mi tornano i conti». «Ma te li vai recuperando» risolve Cusimano come il 6 dicembre, quando ci sono «da eliminare 25 decessi»: «Li mettiamo su Enna?». Vite e infezioni spostate tra giorni e provincie come fiches alla roulette. Che faticaccia far quadrare le cifre, che iniziano a scappare da tutte le parti: se avessero messo tanto ingegno al servizio della prevenzione dal Coronavirus forse non ci sarebbe stato bisogno di usarlo per fregare l’Iss. Il 7 dicembre tocca avvertire il capo in persona: «Ruggero, ti dicevo - spiega Di Liberti che per un momento intuisce che forse si sta esagerando -, in questo modo vengono 868 e sono pochi rispetto ai 1000, di solito 1100. Almeno 50 mettiamoli perché altrimenti diventano troppo pochi ok?». Insomma, bisogna rendere la frode un minimo credibile.
E così arriviamo fino allo scorso 19 marzo, Palermo è da zona rossa: 500 nuovi casi in tutta la provincia. "Ruggero, secondo me, noi, Palermo dobbiamo fare zona rossa" dice Di Liberti. "Oggi?". "Sì, 255 solo in città. Poi tanti comuni con 39, 29, ci sono nuovi focolai". Razza è costretto a telefonare al presidente Nello Musumeci, che alla notizia replica: "Minchia, si impone la necessità di dichiararla zona rossa. Su tutta la provincia. Dobbiamo un attimino calibrarlo e capire come farlo, non so se tu vuoi sentire Orlando". "Decidiamo se glielo vogliamo dire oggi o se glielo vogliamo dire domani - replica il figliol prodigo -, perché se glielo diciamo a Orlando, quello se la vende subito". "Sì se la vende subito - concorda il governatore -, il discorso è capire se siamo in condizione di potere avvisare poi domani in tempo utile, perché non è che glielo possiamo comunicare due ore prima alla gente". Si arriva al 20 e Musumeci richiama Razza per capire cosa diavolo stia combinando ma lui - scrive il gip - "tergiversa, racconta che non è più necessaria la zona rossa perché, dall'analisi dei dati, hanno accertato che l'area si trova al di sotto della soglia" critica. Il resto è cronaca.