Vittoria - Partendo dall'assunto che, bisognerebbe parlare solo con cognizione di causa, rilevo che nella Gazzetta Ufficiale risulterebbe il riconoscimento indiscriminato ad ogni ospedale di una cospicua somma di denaro per ogni "morte Covid", in ragione di un importo che varia in relazione al fatto che il decesso avvenga in area Covid per Covid o semplicemente in area Covid. Ad un profano questa potrebbe sembrare quasi una istigazione a provocarla artificialmente, la morte, ma sono assolutamente certa che non sia così.
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Il fatto ha comunque dell'incredibile: trovo irragionevole e sbagliato che lo Stato corrisponda ad una struttura sanitaria una somma in ragione di un decesso, invece di riconoscere un premio ogniqualvolta una vita venga salvata dal Covid o da altre malattie, visto che proprio questa è la precisa missione che viene posta alla base della stessa esistenza degli ospedali, che non nascono per lasciar morire le persone come purtroppo può avvenire nelle case di tutti noi, prive delle attrezzature e soprattutto delle professionalità atte a cercare di far sì che ciò non si verifichi.
Mi auguro quindi di aver compreso male i termini della questione.
Ci tengo però a riportare, a beneficio di tutti, una esperienza personale, relativa ad una degenza di nove ore in area grigia, vissuta in qualità di assistente di una malata estremamente fragile in quanto invalida al 100% .
Considerato il fatto che la donna versava in gravissime condizioni, dopo diverse ore passate su una barella ho chiesto che venisse adagiata su uno dei letti disponibili. Avendo la donna mal di pancia, ho chiesto aiuto per portarla in bagno., ma anche questo facile supporto veniva ritenuto impossibile. Mi veniva però almeno fornito l’occorrente (una pala, un pannolone e salviettine) per procedere da sola all'operazione.
Passate nove ore (nel corso delle quali alla sottoscritta non veniva nemmeno offerta una sedia), arrivava l'esito del tampone molecolare, si doveva così lasciare la stanza al più presto per procedere alla sua sanificazione. Mi veniva inoltre indicato il sacchettino con pannolone e salviettine per ribadirne la mia proprietà esclusiva. Che dire?
Tutto questo accadeva in presenza di una persona che assisteva il soggetto fragile. Io mi auguro dal profondo del cuore, che, in questi reparti blindati, dove i familiari non sono ammessi, i soggetti fragili ed indifesi vengano assistiti con amorevole attenzione dal personale sanitario ivi presente.
Al tampone molecolare il soggetto, dopo ben 40 giorni dall’inizio positività (negativo a ben due tamponi Usca effettuati nel frattempo), risultava curiosamente, ancora lievemente positivo. Sulla base delle mie scarse conoscenze mediche, l'elevata sensibilità del tampone molecolare può rintracciare una blandissima positività anche dopo mesi di covid, senza che questo dimostri una reale contagiosità del soggetto.
Si potrebbe pensare che moltissime persone in questi mesi siano morte non di Covid, ma a causa di un protocollo che impedisce a chi di fatto contagioso non è di potersi fare curare come dovrebbe nel reparto idoneo, consentendo al contempo ai medici e a tutto il personale sanitario di lavorare in piena sicurezza.
Sappiamo tutti, infatti, che il reparto Covid - per ovvie ragioni - non è uguale agli altri. Il protocollo Covid ha tolto la dignità di una morte serena, rendendo impossibile persino accompagnare il più difficile e triste momento della vita di un malato stringendogli forte la mano nei suoi ultimi momenti.
Perché chi contrae il Covid, dopo 21 giorni dall’inizio della positività può liberamente andare in giro, avere contatti con persone non essendo ritenuto contagioso, mentre una persona lievemente positiva dopo 40 giorni dalla comparsa del Covid, deceduta in ospedale, non può nemmeno far ritorno nella propria casa per ricevere un saluto dignitoso,perchè?
Si nasce nudi e purtroppo, in queste circostanze, si muore anche nudi, avvolti da un telo.
A chi mi chiede di cosa sia morta mia madre, rispondo: “di protocollo Covid”.
La figlia di uno dei tanti morti in Covid.