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Barbara Bobulova, dal Commissario Montalbano al film su Messina Denaro

Barbara Bobulova recita in siciliano nel film "Iddu" dedicato alla latitanza di Messina Denaro. Il suo ruolo nel Commissario Montalbano



Per il pubblico televisivo è stata una quasi fiamma del Commissario Montalbano. Ora recita in dialetto siciliano nel film "Iddu" dedicato a Matteo Messina Denaro. Lei è Barbara Bobulova, nata in Cecoslovacchia il 29 aprile 1974. Ha esordito a 12 anni in un film TV e ha imparato i classici teatrali all’Accademia d’Arte Drammatica e Danza di Bratislava. Un periodo in Italia e poi di nuovo all’estero. Dopo aver studiato teatro a New York, dove si manteneva facendo la cameriera, è tornata in Italia. In Montalbano era la misteriosa vicina di casa Liliana Lombardo ne Il Gioco degli Specchi. La donna cercava di sedurlo, ma Salvo, pur affascinato dall’intrigante vicina, capì da subito che dietro al corteggiamento si nascondeva qualcosa di misterioso.

La signora dei pizzini
"Da straniera non volevano nemmeno affittarmi casa, ora recito in siciliano nel film su Messina Denaro. La signora dei pizzini", annuncia l'attrice che tra il 2007 e il 2008 è diventata mamma di due bambine, Lea e Anita, nate dall’unione con il regista Alessandro Casale. I due poi si sono separati. 
È in Italia da quasi trent'anni, ha lavorato con registi come Bellocchio, Moretti, Genovese e Vanzina (nel 2005 ha anche vinto il David di Donatello come miglior attrice protagonista in Cuore sacro di Ozpetek), ha due figlie nate a Roma (Lea e Anita, 17 e 16 anni, avute dal regista Alessandro Casale), ma di recitare a 50 anni con un forte accento siciliano non se l'aspettava proprio. Eppure in Iddu, film sulla latitanza di Matteo Messina Denaro, di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza, con Toni Servillo ed Elio Germano – nelle sale dal 10 ottobre - la slovacca Barbora Bobulova l'ha fatto. 

Cosa ha pensato quando le hanno offerto il ruolo di una donna siciliana che scrive pizzini per un mafioso?
«Che c'entro io? Ho anche chiesto ai registi se il mio personaggio poteva essere del nord, ma sono stati irremovibili. E così mi hanno affiancato un bravo dialogue coach: così dopo una lunga preparazione, sono diventata siciliana anch'io. Però non è stato difficilissimo, sono qui dal 1996, conosco la lingua. Ormai ho vissuto più qui che in Slovacchia».

Allora si sente più un'Italiana di origine slovacca o una slovacca trapiantata in Italia?

«Io sono nata e cresciuta durante il socialismo reale in Cecoslovacchia e sento di appartenere a quella realtà. Anzi, se ci penso ho un po’ di nostalgia per quel mondo così semplice. Niente può cancellare le radici. Sento di avere due case, questo sì». 

Ha ancora legami con il suo Paese?
«Sì, certo. A Martin (58 mila abitanti, ndr) vive tutta la mia famiglia – genitori, sorelle e nipoti - e ci vado sempre con piacere, anche se tante cose non le riconosco più e mi sento quasi un'ospite».

Lì cosa fa da italiana?
«Bacio tutti sulle guance. E mi guardano tutti in maniera strana. Lo facevo anch’io i primi tempi a Roma».

Un giorno potrebbe tornarci?
«Perché no? A priori non escludo mai niente».

Mai pensato in questi anni “Chi me l'ha fatto fare di venire in Italia, a Roma”? 
«Qualche volta sì. E gli stessi pensieri li ho fatti anche pensando al mio lavoro. Recitare in un'altra lingua, all'inizio, fu davvero complicato. Mi sembrava di farlo con un arto amputato perché a livello emotivo ero legatissima alla lingua materna».

Sogna in italiano o slovacco?
«Non me lo ricordo. I miei sogni sono più a livello fantastico, direi senza parole».

Quando parla in slovacco è tutto come sempre o ha perso qualcosa?
«Per una conversazione quotidiana non ho problemi, ma se mi chiedono di raccontare un film, per esempio, fatico un po' di più».

Il suo personaggio in “Iddu” sfida la legge scrivendo pizzini per un mafioso latitante: lei invece qual è la cosa più illegale che ha fatto?
«Quando ero un'extracomunitaria, 28 o 25 anni fa, sicuramente qualche volta lavorai senza il permesso di soggiorno. La cosa mi rendeva ansiosa perché mi piace rispettarele regole, però poi ho capito che in Italia è quasi impossibile esserlo. La burocrazia complica tutto».

Lei ha cominciato a recitare a 12 anni: una vita come la sua ha fatto in tempo a sognarla o le è capitato tutto in corsa?
«A quell'età mi sembrava un gioco. Recitare, però, è sempre stato il mio sogno da bambina. A quel primo provino feci qualcosa che non avrei dovuto fare: mentire. Dissi che avevo 14 anni quando in realtà ne avevo due di meno. Da lì è partito tutto».

E in Italia come ci arrivò?
«Studiavo recitazione all'Accademia di Bratislava quando vennero a fare un casting: cercavano un'attrice slava per un film tv per la Rai, mi fecero il provino e mi scelsero. Dopo pochi giorni ero a Roma a girare Infiltrato di Claudio Sestieri. E poi mi chiamò Bellocchio. Se non fosse andata così, molto probabilmente non sarei mai venuta. Non ero così coraggiosa e spavalda, tutt'altro». 

Allora cosa c'è voluto per arrivare così a cinquant’anni?
«Tenacia e determinazione. E curiosità. Io in Slovacchia facevo già parte della Compagnia del Teatro Nazionale, però le esperienze italiane mi convinsero a lanciarmi dopo Il principe di Homburg del 1997. Per me quello fu uno spartiacque».

Da extracomunitaria è stata mai vittima di pregiudizi?
«Sì. Quando cercavo una casa in affitto e sentivano che facevo l'attrice ed ero slovacca mi attaccavano il telefono in faccia. Pensavano ballassi sul cubo in discoteca».

Come ha risolto?
«Mentendo. Iniziai a dire che facevo l'interprete».

Ha mai avuto problemi nel mondo del cinema?
«Onestamente, no. Mai trovata in situazioni imbarazzanti, tipo sentire una mano sul sedere o altro. Forse solo una volta che eravamo in trasferta, un regista in albergo mi disse se voleva provare la scena in camera sua. Io gli dissi di no e la facemmo nella hall. Fine. Non era italiano». 

Di recente ha detto che a 50 anni si sente un po' più coraggiosa di prima: l'ultima cosa coraggiosa che ha fatto qual è stata?
«Adesso ho meno paura di espormi come donna. A Venezia, per esempio, ho indossato un vestito celeste super vivace di Vivienne Westwood che dieci anni fa non avrei mai messo perché troppo appariscente».

Mai stata in analisi?
«Sì. Mi ha aiutato molto quando in vari periodi ho avuto momenti di fragilità, che ogni tanto si ripresentano. È così per tanta gente, credo sia abbastanza normale». 

È single?
«Sì. Non mi sono mai sposata e ora sono single. Vivo con le mie figlie».

Per caso un giorno vorrebbero fare il suo lavoro?
«Spero di no. E non sono la sola a pensarla così: tutti gli attori che conosco cercano di scoraggiare i loro figli. Qualsiasi cosa scelgano, però, non mi opporrò: vorrei che trovassero la loro strada e riuscissero a realizzare i loro sogni».

Nella serie “Studio Battaglia” di Rai1 è un'avvocatessa dal volto umano: la separazione con il papà delle sue figlie, invece, com'è stata: pacifica o sulle barricate?
«Tranquilla. Ci vediamo più adesso di prima. E mangiamo tutti insieme quasi ogni weekend». 

A conti fatti, com'è andata finora?
«Non faccio bilanci. Non penso a queste cose. Di sicuro ogni tanto avverto la stanchezza. Forse dovrei passare il testimone a qualcuna più giovane di me». 

Quindi sta pensando a quando saluterà tutti, arrivederci e grazie?
«Non ora, ma prima o poi quel giorno arriverà. Adesso penso ad altro. Sto vivendo la menopausa, una fase particolarmente delicata per una donna. È un tema di cui si parla troppo poco, infatti nessuno ti avvisa di quello che succede. Io ho le vampate, mi svegliospesso di notte, sudo tantissimo... Insomma, ho disturbi che mi rendono molto fragile. Però sono anche più in pace con me stessa, più libera, non so come dire...».

Pace dei sensi? 
«Non lo so. Ho meno voglia di mettermi in gioco, mi sento un po' più pigra e meno combattiva. E di sicuro c'è anche una notevole diminuzione dell’interesse per l’altro sesso, ahimè». 

Qual è l’errore più grande fatto finora?
«Sono nordica e non ho mai avuto problemi a fare il primo passo, così a volte ci ho provato con uomini che si sono ritrovati in difficoltà e in imbarazzo». 

Un'ex cecoslovacca, cresciuta con il socialismo reale, cosa vota oggi in Italia?
«A sinistra, ma in questo Paese sta diventando sempre più difficile trovare chi scegliere». 

La tentazione di fare la regista ce l'ha mai avuta?
«No. Per farlo devi voler raccontare qualcosa. Io per ora non ce l'ho». 

Con “Cuore sacro” di Ferzan Ozpetek ha vinto il David di Donatello nel 2005: cosa ha pensato quando ha saputo che la prima scelta del regista era Valeria Golino, che non accettò di fare quel film?
«Onestamente mi andò talmente bene che non ci ho mai pensato. Nel cinema succede. E poi conta solo il risultato finale». 

Altri incontri importanti?
«Oltre a Ferzan, Bellocchio - con il quale sto lavorando dopo 28 anni nel suo film su Enzo Tortora – e Nanni Moretti. Per me girare con lui è stata proprio una botta di vita».

È vero che in passato usava il mestolo a fini educativi?
«Certo (ride, ndr). L’ho usato due volte con le mie figlie e non ce n'è stato più bisogno. Dopo bastava aprire il cassetto e subito smettevano di fare i capricci. Funzionava».


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