Bologna - Francesco Guccini e l'arcivescovo Matteo Maria Zuppi. La strana coppia di Bologna.
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Francesco Guccini, 83 anni. Il cantautore ha dialogato al chiostro Santo Stefano a Bologna con il cardinale Matteo Maria Zuppi, insieme a don Luigi Verdi della Fraternità di Romena in Toscana, sul tema della memoria. «Guccini è un caro amico - ha sottolineato Zuppi - Con la sua cultura ha saputo esprimere tante situazioni, ci ha fatto conoscere tanta attenzione alla grandezza della vita. Il finale di “Dio è morto” prova ad apparire ingenuo, in realtà penso sia molto vero».
Francesco Guccini risponde alle domande del Corriere della Sera.
«La città a 30 chilometri all’ora? Non ho la patente, ma ho fatto la prova con mia moglie Raffaella. Non si riesce: ci deve essere un piano diverso, bisogna privilegiare i mezzi pubblici».
Che cos’è la memoria per lei? «La memoria è una cosa talmente fugace, la gente ha poca voglia, non si ricorda molto. Ieri, è un tempo lontanissimo. E quindi, al giorno d’oggi, la noia conta poco». Che ruolo ha, quindi, la parola in rapporto alla memoria? «Le parole aiuterebbero a portare il senso del tempo, ma anche lì il discorso è sempre quello». Cioè? «Chi sa prendere, usare le parole giuste? Le parole aiuterebbero, ma chi le sa davvero adoperare?».
Che cosa trasmettiamo quindi ai giovani? «Purtroppo non sono più giovane... Temo che si trasmetta soltanto un aspetto canoro. Forse conta soltanto il ritmo e si scrive poco».
Che cosa vuol dire chiedere la pace? «Significa chiedere tutto e niente. Bisogna capire quanto può costare la pace e sta costando. Guardiamo all’oggi Sta costando cifre enormi in termini di vite strappate, come tutte le guerre. Bisogna vedere chi crede veramente nelle parole».
Una parola sull’alluvione? «L’alluvione è tragica, è franato tutto. I danni sono incalcolabili. Ma la verità è un’altra».
Ci dica.
«L’Appennino è abbandonato dalle persone, la gente scappa via, le risorse non ci sono. Bisognerebbe fare un discorso molto lungo e ridare vita all’Appennino al di là della catastrofe che lo ha colpito».
Lei come vive l’Appennino? «Sono vissuto per 40 anni a Bologna, dal 1960 al 2000. L’avrei lasciata. La città in movimento, il traffico... oggi mi spaventa, sono vecchio. Vivo molto bene l’Appennino, nonostante il suo spopolamento. A 83 anni non mi sento a disagio».
Si sente anziano? «Macché, mi sento sulla pista di lancio». Se ci fosse una linea di eskimo con il suo volto, le piacerebbe? «Non lo farei mai, non è nel mio stile».