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Al Pacino, il siciliano. L'autobiografia

Al Pacino: «Cresciuto nel Bronx, se avevo fame rubavo. L'alcol mi ha devastato. Il patrimonio? Avevo 50 milioni in banca, il mio contabile mi rubò tutto»

https://www.ragusanews.com/immagini_articoli/16-10-2024/al-pacino-il-siciliano-500.jpg Al Pacino, il siciliano


«Metà dei miei film funzionava, l’altra metà non era granché e alcuni sono proprio da buttare nel cesso. Ma sono umano, dopotutto». A 84 anni, dopo una vita sulle scene, Al Pacino - attualmente sul set di un nuovo Re Lear - si mette per la prima volta a nudo nell’autobiografia Sonny Boy (uscita ieri in tutto il mondo e pubblicata in Italia da La nave di Teseo), scritta a quattro mani con il giornalista del New York Times, Dave Itzkoff. Pacino sembra non abbia nessuna voglia di andare in pensione, malgrado i problemi alla voce dopo un intervento chirurgico, una grave malattia agli occhi e la traumatica esperienza con il Covid, che gli ha fatto sfiorare la morte. «Sono vecchio e ho i capelli grigi, ma non voglio essere grigio: io mi sento ancora quel bel ragazzo che vedete qui», ha dichiarato di recente, indicando la sua foto da giovane sulla copertina del libro. E ora quel ragazzo, che mamma Rose chiamava Sonny Boy (“figliolo”), racconta finalmente la sua storia. 

Un teppista che si è salvato la pelle entrando nel tempio della recitazione, l’Actor’s Studio ed è diventato una star del cinema per caso, quando è stato scritturato da Coppola nel Padrino. Un uomo per il quale recitare è tutto ed è incapace di fare altro. Secondo il suo maestro, Lee Strasberg: «Gli strumenti dell’attore sono le emozioni della sua vita reale». Dal libro si apprende che molto del patrimonio emotivo di Pacino viene dalle scorribande giovanili nelle strade del South Bronx. «Ci arrampicavamo sulle cime dei tetti e saltavamo da un palazzo all’altro», scrive, «ci aggrappavamo ai sedili posteriori degli autobus e se volevamo del cibo, lo rubavamo. Non pagavamo mai nulla. Cacciarci nei guai era il nostro passatempo». Nella sua formazione di bohémien c’è anche la scoperta del teatro, con la sua prima visione de Il Gabbiano di Čechov, a 15 anni. «Čechov diventò il mio amico. Se sentivi qualcuno nel tuo vicolo che gridava dei monologhi con una voce roboante, probabilmente ero io». Ma è stata la mamma a tenere Sonny Boy lontano dalle compagnie pericolose. Quando lo chiamavano dalla strada, lei intimava: «Non esci». «Ero furioso ma mi ha salvato la vita», ricorda Pacino, che vedrà morire di overdose i migliori amici dell’adolescenza: Bruce, Petey e Cliffy. A 16 anni lascia la scuola e si immerge nella scena teatrale di New York. Per mantenersi, fa il fattorino, il cameriere, il bidello e una volta anche l’usciere alla Carnegie Hall. «Dovevo far sedere le persone nei posti riservati e invece dicevo: mettetevi dove vi pare. Si scatenò una rissa, fui licenziato in tronco» scrive. Si iscrive, infine, all’Actors Studio. «Avevo un look anarchico, la gente pensava: ma chi si crede di essere?». 

Inizia presto a collezionare trionfi nei teatri Off Broadway e nell’arco di quattro anni è scritturato in una serie di film che segnano un'epoca: Il Padrino (1972), Serpico (1973), Il Padrino: Parte II (1974) e Quel pomeriggio di un giorno da cani (1975). «La Paramount non mi avrebbe mai scelto come Michael Corleone nel Padrino», scrive, «volevano Jack Nicholson, Robert Redford, Warren Beatty o Ryan O’Neal». Ma Coppola lo aveva visto a teatro e voleva lui. Pacino aveva paura di volare fino in California per il provino. «Il mio manager, furioso, mi ordinò di salire su quel cazzo di aereo», ricorda, «e mi fece ubriacare di whisky». Nelle prime settimane di riprese i produttori volevano farlo fuori e anche Coppola gli urlò: «Mi spiace, non sei all’altezza». Poi, il regista girò la famosa scena del ristorante, in cui il personaggio inizia la sua carriera di boss mafioso: lì Pacino diede il meglio di sé e ottenne la prima nomination all’Oscar. Ma per vincere la statuetta dovrà aspettare l’ottavo tentativo, con il remake del film di Risi, Profumo di donna (1992). Sul set del Padrino ci fu anche il primo incontro con Marlon Brando, che mentre parlava con lui mangiava pollo alla cacciatora steso sul letto e si puliva le mani dal sugo con le lenzuola. «Questa è una star di Hollywood?» si chiedeva Pacino, che lo ringraziò per la chiacchierata, troppo spaventato per dire altro.

Il vizio dell'alcol 

Il successo non gli è mai andato a genio e purtroppo ha spesso affrontato il problema bevendo. «L'alcol ha un potente effetto depressivo e mi ha devastato», scrive. Nell’83 è protagonista di Scarface (1983) di De Palma, considerato dopo 40 anni un capolavoro, ma allora le critiche furono tiepide: «Troppo istrionico», dicevano. Alla fine degli anni ‘80, dopo un paio di insuccessi, aveva smesso di lavorare e stava andando sul lastrico. Fu la sua fidanzata di allora, Diane Keaton, ad aiutarlo a riprendere in mano la carriera. La Keaton è stata una delle sue tante compagne, insieme a Tuesday Weld e Marthe Keller, ma lui non ha mai voluto sposarsi e dedica poco spazio nella biografia alla vita amorosa. Andò fallito nuovamente nel 2011, quando fu truffato dal suo contabile: «Avevo 50 milioni in banca e poi è sparito tutto». Si dipinge ossessionato dal lavoro e questo non lo ha aiutato nei sentimenti, malgrado sia padre di quattro figli, l’ultimo, Roman, avuto a 83 anni, dalla trentenne Noor Alfallah. Dopo essere stato sul punto di morire per Covid nel 2020 («Mi si è fermato il cuore per alcuni attimi») dichiara che se andrà in Paradiso, vorrebbe lasciare un messaggio a quella donna che lo chiamava Sonny Boy. Le sussurrerebbe: «Hey, mamma, hai visto quante ne ho combinate?».

Le origini siciliane di Al Pacino
"Sono tutto Italiano, in America la maggior parte delle persone è solo a metà, tutti tranne me. Sono principalmente siciliano". È Alfredo James, cognome Pacino, l’immenso, Al Pacino. Ci sono voluti anni perché ammettesse le sue origini siciliane. I genitori nati a New York erano figli della grande immigrazione siciliana, Il padre Salvatore Pacino, figlio di emigranti da San Fratello in Provincia di Messina, la madre Rose Gelardi, figlia di corleonesi. Al Pacino nasce il 25 aprile del 1940 a New York, da una modesta famiglia, il padre vende polizze assicurative porta a porta. Il matrimonio tra Sal e Rose non funziona e i due si separano, Al aveva solo 2 anni. Il padre lascerà New York per trasferirsi in California. Senza più mezzi la madre andrà dai genitori nel South Bronx. Sono anni difficili, l’attore ricorda che a 9 anni fumò la sua prima sigaretta, a 13 inizia a far uso di alcol e marijuana, senza mai cadere in droghe pesanti. Iracondo, partecipa a risse, senza voglia di studiare, sarà bocciato varie volte. 

Tra rientri e abbandoni lascerà definitivamente gli studi a 17 anni contro il parere della madre, andandosene da casa. Farà sin da ragazzo vari lavori: lustrascarpe, facchino, operaio. Sono anni turbolenti per l’attore che frequenterà alcune scuole di teatro, sarà respinto all’Actors Studio, dove entrerà solo alla fine degli anni '60, diventandone co-presidente. Anni di recitazioni in cantine, con pochi soldi, dorme presso amici o addirittura per strada. A 21 anni sarà arrestato per porto abusivo di armi, dirà che erano per entrare meglio in un personaggio. La madre morirà a 43 anni poco dopo. Il sogno di diventare giocatore di baseball, come tanti ragazzi suoi coetanei, sarà spazzato via dalla passione per il palcoscenico "mi sento vivo in teatro, mi ha tolto dalla strada".


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