Ragusa - Sono stati festeggiati, nei giorni scorsi, a Ragusa, gli 80 anni del fotografo ibleo Giuseppe Leone. “E’ un ladro di luce il fotografo: un rapinatore di eventi, che fulmina l’attimo e lo imprigiona in un breve rettangolo di cartone per consegnarlo all’eternità. Ciò vale per ogni fotografo. Vale specialmente per un fotografo siciliano al quale la terra natia offre una dovizia d’immagini quale raramente la storia, la cronaca, l’arte, il paesaggio sciorinano dinanzi ad un obiettivo curioso”. Così Gesualdo Bufalino commentando l’arte dell'amico Peppino.
Di lui scrive il filologo Salvatore Silvano Nigro: “Leone è un narratore della Sicilia, dei suoi monumenti, delle sue feste, dei costumi e della vita tutta, per immagini fotografiche. Come da viaggiatore incantato, forse l’ultimo in giro per l’isola. Un narratore che si è accompagnato a Sciascia, a Bufalino e a Consolo e ha rivelato alla letteratura, la Sicilia più vera, quella degli uomini come quella della pietra vissuta e del paesaggio”.
“Quando ero ragazzino, finita la scuola, non c’era tempo per riposarsi, per godersi le vacanze come oggi -racconta il festeggiato-. Mia madre mi mandava come garzone nelle botteghe, per imparare un mestiere. Cominciai in quella di un sarto per poi finire da un fotografo: fu subito colpo di fulmine. All’inizio cercai di conciliare la mia nuova passione con lo studio della pittura. Ma mi resi subito conto che non avrei potuto servire due padroni”.
E così studiò la storia della fotografia ripercorrendo la lezione di Doisneau e Bresson. Tutto ciò perché “occorre sapere quello che s’è fatto prima, per non cadere nella trappola della maniera, per rinnovare il linguaggio”.
A segnare la sua carriera furono grandi personaggi, Elvira ed Enzo Sellerio, Sciascia, Bufalino e Consolo.
E’ una realtà per immagini quella raccontata da Leone che può essere considerato, come scrive Nigro, “artigiano di bottega alla maniera degli artisti del passato, e autentica memoria vivente della Sicilia tutta, che negli anni ha attraversato in lungo e in largo testimoniando un mondo che oggi se non è ancora scomparso, sta scomparendo: un mondo che ormai può vivere solo nei ricordi. Peppino Leone sa leggere il paesaggio siciliano che ritrae con l’occhio della lepre, perché ne fa intimamente parte”.