Ragusa - "Quando dissi a mia madre che volevo fare il cuoco, mamma trasecolò. Si disperava come si dispera una donna il cui figlio decide di prendere i voti".
Seduti attorno un tavolo ci sono il giornalista e scrittore Paolo Marchi, e gli chef siciliani Peppe Barone, con il pasticcere modicano Corrado Assenza, del Caffè Sicilia di Noto, e i pluristellati Ciccio Sultano e Pino Cuttaia.
L'occasione? La presentazione, alla scuola Nosco, a Ibla, del libro di Paolo Marchi, ideatore e curatore di Identità Golose, "XXL, 50 piatti che hanno allargato la mia vita".
E' proprio Cuttaia a rendere plasticamente il senso del sacrificio di chi decide di fare la carriera di chef.
Chef?
Intanto cuoco. "Chef mica significa cuoco. Vuol dire capo. Sì, capo. Oggi entri in un qualsiasi ristorante, chiedi dello chef, e chiunque risponde: sono io!. Ma lo chef non è il cuciniere, è qualcosa di diverso".
E come si fa a diventare chef? La risposta la offre Corrado Assenza: "La formazione, nella bottega artigiana, in qualunque bottega artigiana, non è contemplata. La produzione non dà il tempo di formare".
Quindi?
"Quindi si ruba. Chi vuol crescere deve imparare a rubare il mestiere".
Aggiunge Ciccio Sultano: "Il nostro sforzo di questi anni e' stato quello di creare una identità gastronomica della Sicilia. Rispetto allo stereotipo della pasta alla norma e del cannolo di ricotta, gli chef che siamo seduti a questo tavolo abbiamo cercato di costruire una identità che tenga conto della varietà di sapori e odori della nostra cucina".
Gli chef stellati, e non solo gli stellati, ma tutti coloro che fanno ricerca in Sicilia hanno contribuito, come Bufalino nella letteratura, Leone nella fotografia, Guccione nella pittura, a costruire un immaginario della cucina in Sicilia, in questa parte di Sicilia, che oggi viene unanimemente identificata con gli Iblei.
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