Catania - La preparazione del «pane della cena» accomunava tutte le famiglie della Sicilia occidentale, ma la farina impiegata era legata alla classe sociale di appartenenza. La ricetta autentica contemplava l'impiego della farina di "Majorca", e già la denominazione ci porta al ‘500, l'epoca della dominazione spagnola. La farina di Majorca equivale alla nostra farina di grano tenero 0-00, il cui uso destinato al pane era limitato ai cittadini e alle classi abbienti, pur avendo in realtà valori nutrizionali minori, ed essendo di difficile conservazione perché di facile processo d'ossidazione. Con la Majorca, nella provincia di Catania e di Giarre veniva impastata la cucchia, per festeggiare la nascita di una figlia femmina. La cucchia era rigorosamente di forma ovoidale, con uno spacco centrale a simboleggiare la fertilità femminile.
Nel ‘500 il pane di grano duro veniva erroneamente considerato di scarso valore nutrizionale e di esclusivo uso dei poveri. Gli ingredienti di questo pane prevedono 1 kg di farina di Majorca, 300 gr. di zucchero, acqua, 200 gr. di lievito di pane, 50 gr. di semi di anice (ma in alcune province vengono usati i semi di sesamo, ciciulena), sale e 2 albumi d'uovo sbattuti. La lavorazione di questo pane è la stessa dei giorni nostri, ma ha una particolarità: prima di essere passato al forno viene immerso nell'acqua calda dove sono stati messi gli albumi sbattuti.
Unitamente al pane si preparano molte pietanze, più o meno ricche, a seconda del censo delle famiglie.
Le ricette restano quelle nate sotto le varie dominazioni, e i loro nomi ne sono la conseguenza. U sciusceddu è una minestra messinese a base di carne di pollo, uova e ricotta, tramandata dalla dominazione francese. Il tegame pasquale d'Aragona, in provincia di Agrigento, è costituito da una quantità spropositata di uova, zafferano, cannella (forse di tradizione araba?).
L'agnello invece è presente in quasi tutte le ricette regionali ma in Sicilia viene consumato con alcune varianti a secondo del bacino d'appartenenza, secondo la contrada, seguendo le ricette di famiglia. Nel Ragusano si prepara l' impanata pasquale di origine spagnola, una focaccia con base di pane lievitato, ripiena di stufato d'agnello, l'agneddu aggrassato con patate e cipudduzza; nell'area messinese e catanese è senza le patate; nel palermitano l'agneddu si fa arrustutu; nel trapanese alla menta.
E poi ci sono i dolci. Classico è l'agnello casalingo di mandorle recante lo stendardo della resurrezione, quello che possiamo vedere sulle acquasantiere nelle ceramiche di Caltagirone. Nelle famiglie povere veniva confezionato l'agnellino di pasta di zucchero con tanti chiodi di garofano, affinché la spezia smorzasse il retro gusto della tanta farina rispetto al poco zucchero usato.
Altri dolci tipici pasquali erano «i pupi», legati alla francese Chanson de Roland e al teatro dei pupi. Anche i «pupi» venivano confezionati secondo la condizione economica delle famiglie. I ricchi, si fa per dire, preparavano u pupu cu l'ovu, (la denominazione del dolce però cambia da paese a paese o addirittura contrada.) Si possono infatti chiamare: cannareddi, aceddi con l'ova, cuddura, cudduredda, panareddi; gli ingredienti base sono farina, un uovo col guscio, da posizionare al centro du pupu che poteva assumere varie forme: un agnello, un uccello, una colomba. I pupi, nella versione più o meno ricca, erano rifiniti in modo sorprendente con piume, carte dai colori decisi, spade fatte con carta stagnola, bocche, nasi, occhi marcatamente variopinti con colori vegetali. In tutto questo contesto troneggia la cassata. Una regola ferrea voleva che venisse fatta soltanto per Pasqua, perché la ricotta di pecora adoperata doveva essere prodotta in questo periodo dell'anno, non solo per la migliore consistenza, ma per il sapore dell'erba brucata al pascolo che la rendeva più gustosa.
Ma noi siciliani siano golosi e questo lo debbiamo sicuramente alla dominazione araba e a quella spagnola...
di Redazione
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