Un video, girato a Napoli, che immortala le gesta di due ragazzi mentre trascinano un frigorifero a bordo di uno scooter diventa virale sul web.
Può una scena di ordinaria quotidianità suscitare tanto chiasso?
Può la consuetudine di un popolo che ha fatto dell’arte di arrangiarsi il proprio intimo welfare, incantare l’universo?
Tra sorrisi, scadente ironia e polemiche gratuite gli espedienti che hanno permesso a tanti napoletani, nei secoli scorsi ma anche oggi, di campare, arrangiandosi, stupiscono ancora tutti. Già.
Eppure, basterebbe riflettere solo un attimino prima di lanciarsi in sproloqui contro questo modello culturale, riconosciuto come struttura primordiale di sopravvivenza, che ha fatto di Napoli la “più bella città del Mondo”. Non l’ha detto Vittorini, ma Stendhal e Goethe, dunque, potete fidarvi.
Meravigliosa, Napoli, qui lo possiamo dire con certezza, è popolata da forme di vita intelligente. Un paradiso, Napoli. Abitato da diavoli, però. Ed è così che deve essere letto il gesto del frigorifero trainato da uno scooter, con intelligenza, scavando in profondità per cogliere gli aspetti che la realtà, spesso, nasconde ai nostri occhi.
Napoli che ricorre a mezzi sbrigativi e talvolta fuorilegge per risolvere un problema spicciolo. Napoli che mette pezze e toppe lì dove lo Stato non arriva o non c’è. Napoli che ha voglia di vivere, nonostante i troppi buchi che hanno lasciato le istituzioni sulle basole dei Quartieri Spagnoli scendendo giù fino a Toledo. Il pacco, il doppio pacco e il contropaccotto? È welfare. È lo stato sociale di Napoli per i napoletani. C’è poco da dire. La truffa? È “una forma ordinaria del vivere” per un popolo che la piaga della disoccupazione e della crisi economica l’ha vissuta da sempre.
È l’arte di arrangiarsi, appunto, così come ce la racconta Luciano De Crescenzo, napoletano, in un pezzo estratto da «Il caffè sospeso», pubblicato da Mondatori nel 2008.
«Sorrentino Salvatore e Sorrentino Gennaro. Siete fratelli?»
«No, signor giudice, fratellastri. Gennarino è figlio di secondo letto.»
«E quanti fratelli siete?»
«Tra primo e secondo letto siamo dodici. Cinque maschi e sette femmine.»
«E questa è la vera tragedia di Napoli! Va buo’, veniamo a noi: tu sei Gennaro?»
«Nossignore, io sono Salvatore. Gennarino è lui.»
«Salvato’, qua il fatto è chiaro: voi due, approfittando dello sciopero degli addetti alla tangenziale vi siete piazzati davanti a un casello di uscita e avete prelevato cinquecento lire per ogni macchina che passava. Che bella pensata! Complimenti.»
«Signor giudice, le cose non sono andate così: noi non abbiamo chiesto niente a nessuno.»
«E allora vuol dire che io il fatto me lo sono sognato! Aspetta, adesso ti leggo il verbale. Dunque… “alle ore 12.15 del 27-3-79 presso il casello di uscita del Vomero… con l’artifizio della sostituzione degli operatori… i sunnominati Sorrentino Salvatore di anni 28 e Sorrentino Gennaro di anni 19 eccetera eccetera”… ecco qua: “si procuravano ingiusto profitto ai danni della società Infrasud estorcendo una quota del pedaggio di lire cinquecento a tutti gli automezzi in transito per detto casello”. Che tenete da dire?»
«Che state pieno di sbagli.»
«Come sarebbe a dire?»
«Sarebbe a dire che vi siete dimenticato di raccontare la cosa più importante.»
«E cioè?»
«Che pioveva.»
«Pioveva? E che c’entra?»
«C’entra, signor giudice, perché io e mio fratello dovevamo andare al Vomero e avevamo chiesto un passaggio a un signore tanto gentile che però doveva andare ad Agnano. Ecco perché quando siamo arrivati all’altezza del casello del Vomero il signore tanto gentile ci ha fatto scendere. Purtroppo noi adesso non ci ricordiamo più come si chiamava questo signore se no lo avremmo fatto venire come testimone.
«Non capisco che avrebbe potuto testimoniare.»
«Che due minuti dopo che siamo scesi dalla sua macchina si è messo a piovere.»
«E con questo?»
«Con questo, signor giudice, io ho detto a mio fratello: “Curre Gennari’ che sta venenno ’na ’ncasata d’acqua” [corri Gennarino che sta venendo a piovere forte], e così ci siamo rifugiati nel casello della tangenziale. Ora voi non ci crederete, ma da quel momento in poi tutti quelli che passavano ci davano cinquecento lire.
«E quando erano mille davate anche il resto?»
«Sì, ma per fare una cosa giusta per tutti quanti.»
«Questa è truffa, Sorrenti’.»
«Ma quale truffa, signor giudice! Quelli le cinquecento lire ce le davano spontaneamente, tanto è vero che noi dicevamo sempre grazie. E poi, pe’ sape’: gli automobilisti le cinquecento lire le avrebbero dovute pagare, sì o no? E la società Infrasud stava o non stava in sciopero? E allora, fatemi capire una cosa: noi questi soldi a chi li abbiamo rubati?»
di Peppe Scarpata
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