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Mafia, Alfano e Renzi hanno sciolto comune di Bovalino

La triade prefettizia era stata nominata in giugno

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Roma - Come alla fine di un lauto pranzo conviviale è arrivata, puntuale per il pagamento, la ricevuta fiscale emessa direttamente dal Consiglio dei Ministri n. 55 presieduto dal Presidente Matteo Renzi, che si è riunito il 3 aprile a Palazzo Chigi. Il conto è “salatissimo”.

Si legge in una nota diffusa dalle agenzie di stampa: “Lo scioglimento del consiglio comunale di Bovalino, in Provincia di Reggio Calabria è stato deliberato perchè sono state accertate forme di condizionamento della vita politica ed amministrativa da parte della criminalità organizzata“.

L’attività ispettiva da parte della “commissione d’accesso” sull’operato del consiglio comunale in carica, era stato disposto dal Prefetto di Reggio Calabria Claudio Sammartino, che aveva inviato nello scorso mese di giugno 2014 i membri della commissione per appurare la veridicità di eventuali collegamenti nella gestione dell’ Ente con le organizzazioni criminali, i cui connotati erano emersi nel corso di alcune intercettazioni telefoniche che coinvolgevano esponenti del consiglio comunale stesso.

Dopo i primi tre mesi di intenso lavoro, i funzionari prefettizi avevano chiesto ed ottenuto una ulteriore proroga di tre mesi, concludendo i propri lavori alla fine del mese di dicembre 2014 con la consegna della relazione nelle mani del Prefetto di Reggio Calabria.

Ora è arrivata la sentenza definitiva e senza appello, che mette la parola “fine” ad un periodo buio nel quale gli unici a pagarne le gravissime conseguenze sono i cittadini bovalinesi. Il provvedimento legislativo che ha determinato lo scioglimento dell’Ente è stato introdotto nell’ordinamento giuridico italiano con decreto-legge n.164, art. 1 del 31 maggio 1991 (poi convertito in legge n. 221 del 22 luglio 1991 e successive modifiche ed integrazioni).

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Tutte le responsabilità emerse nell’arco del quinquennio messo sotto la lente di ingrandimento dalle autorità ed imputato agli attuali amministratori, sono saltate fuori.

Appare evidente una gestione del bene comune “molto ma molto discutibile” sia nei modi che nei contenuti. Quello che però non trova alcuna giustificazione, è l’assoluta ostinazione da parte degli amministratori a voler rimanere a tutti i costi in carica, ciò nonostante le innumerevoli defaiances di consiglieri di maggioranza che si sono succeduti, surroga dopo surroga, fino all’esaurimento del numero disponibile.

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Sarebbe stato meglio, come auspicato da più parti ed in tempi non sospetti, la dimissione dell’intero consiglio per poi andare di nuovo davanti al giudizio degli elettori e tentare così di scongiurare il commissariamento.  


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