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Racconto. Il gioco del disamore

Conobbi Maria Luisa per caso. Abitava in un appartamento di un palazzo vicino a dove abitavo io, a Madrid

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                                               a Maria Luisa

 

Conobbi Maria Luisa per caso. Abitava in un appartamento di un palazzo vicino a dove abitavo io, a Madrid.

Era una signora anziana molto curata. Vestiva con gusto ed eleganza.

La sua età era indefinibile ma lei con gli amici non faceva mistero dei suoi anni novanta. Nessuno avrebbe immaginato quel carico di anni.

Usavamo le stesse corse ma soprattutto lei amava viaggiare nell’autobus urbano numero 75 perché a guidarlo era abitualmente una ragazza, Mariluz, alla quale regalava caramelle.

Fu proprio Mariluz a segnalarmela un giorno, anch’io spesso preferivo viaggiare nel 75.

Dopo avermi conosciuto Maria Luisa m’incluse nella lista degli amici più cari.

Era inevitabile che mi raccontasse la sua vita. Rideva e raccontava con una lucidità invidiabile.

- Mi piace giocare. – Mi confidò la prima volta che parlammo ma io non capii. – Da ragazza mio padre mi proibiva di uscire con le amiche. Da noi, in Spagna, era come da voi, in Sicilia – commentava allegramente – bisognava ricamare il corredo come usava nelle buone famiglie e guai a strizzare l’occhio a un giovanotto. Si andava intruppati a messa la domenica, sotto lo sguardo vigile di mio padre e così, sempre intruppati, si tornava a casa. Il cinema era un locale proibito per signorine, un luogo di peccato. Andavo, invece, ad ascoltare qualche opera italiana a teatro, sempre sotto la stretta vigilanza di mio padre. Un giorno una nostra lontana parente fece visita a mia madre. Parlarono a lungo. Ero curiosa di conoscere il contenuto della loro conversazione. Quando andò via, mia madre venne in camera mia e mi svelò il motivo di quella strana visita. La nostra parente si faceva portatrice di una “petición de mano”, Mio padre acconsentì a conoscere il ragazzo che voleva fidanzarsi con me, io non fiatai. Doveva essere davvero un buon partito per incontrare immediatamente il suo favore, pensai. Ero carina, un po’ ingenua e inesperta. Non ero comunque sciocca. –

Notai che la signora prenotava la fermata successiva per abbandonare il mezzo.

-Alla prossima continuo il racconto – Promise con occhi maliziosi e intelligenti. Poi, assalita dal dubbio, mi domandò: - Non ritornerai in Sicilia, immagino, vero? –

- No. No. - La tranquillizzai. Maria Luisa scese tutta arzilla e contenta e si perse fra le stradine affollate del centro di Madrid.

Non passò molto tempo e di nuovo ci ritrovammo a bordo dell’autobus urbano numero 75.

- Bene. – Mi disse. – Dov’eravamo rimasti col racconto?-

- Al fidanzamento, mi pare di ricordare. – Le risposi.

- Ah, ecco! – Esclamò lei. – Perfetto. – Continuò. – Il giovane venne una domenica pomeriggio a casa. Era belloccio, un ragazzone robusto di pelle molto chiara, biondiccio. Mi piacque subito e pensai: “questo me lo sposo”. Io ero bellina, minuta come adesso. Gli piacqui pure. Per alcuni mesi ci frequentammo, sempre sotto lo sguardo vigile di mio padre, a casa mia. Fissammo la data delle nozze. Lui apparteneva a una buona famiglia politicamente molto vincolata col regime di Franco. Ingegnere, nonostante la giovane età, appaltava cantieri della nuova città che si stava costruendo intorno alla grande arteria della Castellana nel nord della Capitale. Le nozze furono un’occasione di festa per tutti i parenti e gli anici.

L’edificio dove abiti tu e quello dove abito io furono appalti suoi. – M’informò. – Lui riservò per noi due un grande appartamento dove ancora viviamo, infatti.-

- Scusa. – La interruppi. – Tu eri più grande di lui? Se tuo marito ancora vive, quanti anni ha?-

Lei scoppiò in un’allegra risata.

- Compirà fra qualche mese novantasette anni, el cabrón! – Esclamò. La guardai serio. – E lo lasci da solo?- La rimproverai.

- Che importa? – Rispose sempre ridendo.- È più arzillo di me. E poi lui mi ha lasciato sola tutta una vita, se ora lo lascio io, siamo pari.- Prenotò la fermata. Ci salutammo. Lei abbandonò l’autobus e si perse come sempre fra le stradine e il bailamme del centro.

Mi avvicinai a Mariluz che quella volta conduceva il mezzo e raccontai, sconvolto, la mia sorpresa. Mariluz scoppiò a ridere.

- E non sai il resto! – Rispose. – Ad ogni modo, voglio che sia lei a raccontarti la sua storia. Vedrai. Ti sorprenderà.-

Non tardò molto tempo e di nuovo con Maria Luisa c’incontrammo nello stesso mezzo. Questa volta la signora ricordava perfettamente dove aveva interrotto il racconto.

- I primi anni furono molto felici. – Continuò. – Lui, premuroso, mi viziava come una bambina. In quel tempo di grande crisi non mancava nulla in casa. C’era tuttavia qualcosa che non andava nel nostro rapporto di coppia. Non avevamo avuto figli e questo forse rendeva le nostre sere più malinconiche e vuote. Sentivo che lui si allontanava da me a poco a poco come una barca dalla riva in cerca di orizzonti lontani. Il giro dei suoi affari si faceva intanto vorticoso, stringente. Spesso mi telefonava la sera per invitarmi a cenare da sola. Alcuni giorni neppure rincasava più. Gli proposi un tempo di riflessione. In estate la mia famiglia villeggiava in una magnifica casa di San Sebastián, in prossimità di una delle spiagge più belle del nord della Spagna. Manifestai il desiderio di passare quell’estate in compagnia dei miei al mare. Non ci fu verso di farlo ragionare. Mi propose Málaga o Alicante, se proprio avessi sentito nostalgia di una spiaggia e del sole. Non insistei. Lo conoscevo bene. Sarebbe stato inutile.-

- Forse si era fatta un’amante.- Insinuai.

-Era un grosso imprenditore della città. Era sempre circondato da tanta gente. Donnine a iosa, lo sapevo, mentre io mai mi sarei sognata di tradirlo. Per questo gli avevo proposto di separarci. Mi abituai ai suoi rari ritorni. Non sono stata gelosa, anche perché la mia mancata maternità mi faceva sentire colpevole. Tuttavia, quando tornava, dimenticavo le sue assenze e vivevo quegli attimi come momenti intensi di una felicità nuova perché io davvero lo amavo. Non riuscivo a rimproverargli nulla. Passavo tuttavia intere giornate da sola in una casa grandissima e silenziosa senza il conforto di una sua carezza o di una sua parola. I miei genitori purtroppo, uno alla volta, vennero a mancare. Non avevo sorelle o fratelli che avrebbero potuto riempire il mio vuoto affettivo. Con i nipoti di lui non c’era stata mai simpatia, non c’era stato mai dialogo. Un pomeriggio, in preda allo sconforto, uscii da casa, presi questa corsa e andai in centro. Girovagavo per negozi, aspettando che si facesse sera. Di colpo una scritta luminosa “Casino de Madrid” attirò la mia attenzione. Entrai in un grande ed elegante salone quasi guardinga, come una ladra. Alla porta qualcuno della sicurezza mi fermò, mi chiese i documenti che fortunatamente conservavo nella borsetta. Mi lasciò passare. Scoprivo un mondo sconosciuto di cui mai avrei immaginato l’esistenza. Mi avvicinai ai tavoli verdi dove tanta gente, uomini soprattutto, si accalcava. Un signore accanto a me puntò un numero. Aveva uno sguardo intelligente e simpatico. Avevo comprato per curiosità qualche fiche anch’io. Istintivamente puntai con lui. Vincemmo.-

Maria Luisa, s’illuminò.

- E poi? – Chiesi io.

- Che domande? – Rispose con una risatina maliziosa. – E poi da quel giorno ogni pomeriggio sono andata a giocare. Mi conoscono tutti ormai al casinò. Tutti mi vogliono bene. Passo il mio tempo in compagnia della gente, chiacchierando fra una scommessa e l’altra, ascoltando le sue pene. -

- E vinci spesso? – La incalzai.

- Che domande fai? – Ripeté lei. – Al casinò non si vince mai, si vive a volte e anche si muore dentro e spesso. Ma io vinco e perdo e poi di nuovo vinco e mi rifaccio. Ho passato così il tempo della mia vita che non è stato corto, condizionata da una contabilità nella quale di solito i conti non tornano. Non ho avuto figli. Vincere per chi? Ogni volta che vado, vinco sempre la mia battaglia contro la solitudine e, se perdo, a chi potrebbe interessare?-

- A tuo marito, per esempio. – La interruppi.

- So che ha fatto testamento. Ha lasciato la casa ai nipoti. E pure il conto in banca che non è leggero. Gli ho rubato anche il denaro dal portafogli, quando sono rimasta al verde, sai? Appena si è accorto che ero ladra, ha cominciato a nasconderlo fra i libri della sua biblioteca, ma io lo spiavo e lo fregavo. –

- Non ti sei mai vergognata per questo? – La ripresi.

- Vergognarmi perché? Lui mi ha rubato tutta una vita e questo non ha prezzo. Le sue assenze mi avevano depresso e, sola, avevo anche pensato al suicidio. Il gioco mi ha restituito la leggerezza del vivere. Figurati che una volta mi sono anche autodenunciata come ludopatica. Mi negavano l’accesso al casinò e io soffrivo tanto. Alla fine ho ritirato l’autodenuncia e sono tornata a sentirmi viva fra i tavoli verdi per una continua scommessa con la vita. È successo in diverse occasioni che il casinò ha dovuto chiamare un taxi a sue spese perché avevo perso tutto e non avevo un centesimo per ritornare a casa. Ma il giorno dopo ero di nuovo sui campi di battaglia più agguerrita che mai. – Concluse con una trionfale risata il suo racconto canticchiando “Que te vaya bonito” una celebre “ranchera” messicana di José Alfredo Jiménez Sandoval cantata da grandi interpreti come Chavela Vargas e Maria Dolores Pradera.

Fu l’ultima volta che la vidi. Mi aveva regalato una penna, un omaggio del casinò ai clienti che volevano annotare i numeri estratti sui loro taccuini.

- Conservala in mio ricordo. – Mi aveva raccomandato. – La vita è un continuo gioco d’azzardo. Avrai l’impressione di vincere qualche volta, come succede al casinò, di avere il mondo ai tuoi piedi ma non è così. Promettimi, comunque, di non tentare mai la sorte e di non varcare mai la soglia di un simile locale, fosse solo per curiosità o come nel mio caso per disperazione. –

- Certamente. – La rassicurai.

Prenotò la solita fermata. Scese dall’autobus. Questa volta Maria Luisa non andò per la strada consueta. Prima di scomparire fra la folla si voltò, mi mandò un bacio con la mano.

- Addio! – Gridò, mentre era già lontana.

Sono tornato altre volte nella Capitale spagnola. Spesso ho viaggiato sull’autobus numero 75. Non ho più incontrato Mariluz e neppure Maria Luisa.

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