Cultura Scicli

San Matteo, un grande progetto del Seicento

Spuntano i nomi di due architetti finora del tutto sconosciuti: Pietro di Maria e Antonio Butera

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Scicli - Non conosciamo le ragioni della ricostruzione della chiesa di San Matteo dai primi del Seicento. Possiamo verosimilmente ipotizzare che ricominciare con un nuovo progetto possa essere stato motivato dall’antichità della fabbrica, dalle sue condizioni strutturali, per quanto sappiamo dal Carioti che un intervento importante sulla chiesa era stato fatto nel Quattrocento su progetto di Guglielmo Belguardo.

Contarono comunque anche la ricchezza economica che in quei decenni la città aveva e la crescente devozione al Beato Guglielmo cui si aveva intenzione di rititolare l’antica chiesa di San Matteo. Erano anni in cui il ceto dirigente dei Miccichè, dei Salonia, dei Ribera, dei Celestri, dei Carrera erano impegnati nella rimodulazione in scala monumentale della città. Carioti scrive: “ opera cominciata dall’arciprete Don Gio. Battista Melfi ed indi dal successore Don Guglielmo Scardino terminata”.

    I lavori della chiesa di San Matteo sulla base di un nuovo progetto cominciano intorno al 1611. Dalle ricerche sono emersi due architetti che non conoscevamo prima e di cui ancora non sappiamo nulla. Con ogni probabilità il progettista della nuova grande fabbrica della Matrice è Pietro Di Maria, mentre un “modello” della nuova chiesa è fatto dall’architetto di Noto Antonio Butera.

   Nel 1614 è documentata la raccolta di fondi: versano somme i giurati della città, il capitano d’armi Michele Di Rosa, Girolamo Gravina, oltre a Carlo Celestri, il dott. Andrea Miccichè, Antonino Palazzolo. Le previsioni di spesa nel 1615, a lavori già iniziati, sono sulle duemila onze, previsione in gran parte in difetto, e a far da garante come fideiussore per le somme che dovevano essere versate dai maggiorenti e dal popolo sarà Giuseppe Miccichè, il quale per un verso si impegna ad intervenire con suoi fondi per la realizzazione della porta maggiore, per l’altro, come tesoriere della fabbrica garantirà il prosieguo dei lavori e come esattore delle somme che debbono versare coloro che hanno il patronato delle singole cappelle. Si prevede, altresì che i lavori dovessero durare per questa prima fase cinque anni. Oltre agli interventi già fatti a cominciare dal 1611 un significativo appalto prende l’avvio nel 1617, allorquando sono incaricati i capimastri Vincenzo Nobile e Arcangelo Dierna di Ragusa per continuare i lavori gia iniziati sia nell’area dell’abside e del transetto e sia nella navata minore sinistra ( nel lato del Castello) “ cioè l’ala dove è la porta titolata delli soldati”, con sei arcate, e la cappella absidale sinistra, facendo le coperture di gesso e sabbia. Il costo previsto per questo appalto è di duecentosettanta onze. A seguire i lavori e a finanziare in gran parte l’opera gli appartenenti alla congregazione di San Guglielmo: i “fratelli “ Dott. Girolamo Ribera, Mariano Mastretta, Giacomo Giluso, Antonio Damiata, Francesco Xiacchella, Marcello Di Rosa, Francesco Celestre, Francesco Cartia, il dott. Giuseppe Mastretta, Fabio Ficicchia, il dott. Paolo Li Volti I pagamenti in itinere sono effettuati dal dottore Alberto Giluso, da Giacomo Mazara, da Lorenzo Spinello e da Antonio Torres. I periti sono Gaspano Butera e Antonino Magro di Noto. In questa fase si cita il modello e il disegno dall’architetto Antonio Butera di Noto .

   Un secondo appalto per continuare i lavori è del gennaio 1621. Se lo aggiudica l’ “architettore” maltese maestro Antonio Cassar. Il contratto ha come controparte Guglielmo Ribera “ ministro della congregazione del beato Guglielmo”, per completare l’ala sinistra  ( verso il Castello) “ con farci setti pileri (pilastri) con sei archi etiam d’intaglio, dambusi e cantoneri con li loro basi, cimasioli,capitelli, frisci et cornichi della parte della nave..con tutti quelli due cappelli etiam d’intaglio cioè una sia conforme quella cappella profonda dello thau (transetto) et cappellina dentro e l’altra conforme la cappella di Guglielmo Torres”. Il Cassar per intenderci deve completare l’ala sinistra a cui lavorava ancora il maestro Arcangelo Dierna e deve continuare anche l’ala destra, quella che da sulla città. Costo previsto dell’appalto onze quattrocentoventi.

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  Il terzo appalto dei lavori avverà nel 1625; ad aggiudicarselo sarà ancora il maestro Arcangelo Dierna di Ragusa. Come controparte contraente stavolta sono Don Matteo Ribera e Giuseppe Lucifora entrambi “diffinitori” della congregazione di San Guglielmo. Come testimoni Guglielmo Ribera, Antonio Damiata e Francesco Carpentieri. I lavori riguardano “ la nave   del menzo di detta chiesa di San Matteo e Beato Guglielmo ( questa la titolazione in quegli anni), incomenzando dalla porta maggiore per insino allo primo arco dello thau et anco l’istesso primo arco dello thau con farci quelli dammusi ed archi et anco finestruni, cioè li dammusi voltati a lamia di petra di tufo et li respichi di petra di taglio”. I “definitori” Don Matteo Carrera e Giuseppe Lucifora “ debbono splanare la timpa confinante con lo thau per metterci di sopra lo pileri” “ di quello modo e forma come appare per la pianta di detta fabbrica fatta per maestro Petro di Maria al presente esistente in potere di Vincenzo Carrera”. Ciò significa che la planimetria della nuova chiesa rispetto a quella preesistente viene modificata, demolendone le strutture. Quella chiesa del Seicento doveva essere stilisticamente impaginata con moduli classicistici e con l’uso del dorico e del tuscanico nei capitelli dei pilastri, dei semipilastri, delle lesene e delle paraste. Tutti i materiali, in tutte e tre i contratti debbono essere forniti dai procuratori della fabbrica. Il costo sarà stimato da due periti. Il beneficiato della chiesa matrice per l’occasione don Michele d’Angelo darà a maestro Arcangelo cento onze come contributo personale per il prosieguo dei lavori.

    La pestilenza del 1626 avrà determinato l’interruzione dei lavori che saranno ripresi negli anni trenta con la copertura della navata maggiore e con la realizzazione della cupola nell’incrocio tra la navata centrale e il transetto. E’ degli anni quaranta la sistemazione delle ossa del Beato Guglielmo in un mezzobusto d’argento e in un braccio d’argento, mentre tra gli anni Sessanta e gli anni settanta saranno realizzate due urne reliquiario in argento sempre in onore del Beato.

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   A leggere le cronache del dopo terremoto del 1693 la chiesa sarebbe stata ricostruita dalle fondamenta.

Ad una riesame della chiesa nel suo interno oggi penso che restarono in piedi parecchie parti dei muri perimetrali ed almeno due cappelle del lato sinistro della chiesa ( il lato della parte del Castello). Mi orientano in questa direzione gli elementi stilistici delle modanature delle cappelle e tra queste la cappella della famiglia Giluso l’altare a sinistra della sagrestia con l’arma in cui in bassorilievo si trova scolpita un’aquila posata sopra un monte sormontata a destra da una stella sotto un sole; a sinistra tre stelle ordinate a triangolo. Nel dopo terremoto l’impianto della Matrice ( chiesa a tre navate, divise da pilastri, con transetto e cappelle absidali a conclusione delle tre navate) rimarrà quello del Seicento, per quanto saranno ricostruiti ex novo i pilastri che dividono la navata centrale dalle due navate laterali, questa volta con l’uso dell’ordine corinzio. Per le altre vicende del Settecento si veda quanto ho già scritto nel volume Scicli, una città barocca. Resta molto problematico ancora il problema della facciata che stilisticamente ha caratteri stilistici ibridi tra Seicento e Settecento. Lascio la questione del tutto aperta.

    Quel grande progetto del primo Seicento, che sarà portato a termine nella fase centrale del Seicento nasce all’insegna della devozione al Beato Guglielmo, in un momento straordinario per la città che vede un fervore edilizio non comune con tanti cantieri aperti, da quello di Santa Maria la Nova a quello di San Bartolomeo, da quello della Consolazione a quello della chiesa dei Gesuiti per citare quelli più importanti, una città che sarà fortemente colpita dal terremoto di fine secolo e che con molta fatica, dopo qualche decennio ricomincerà a ricostruirsi su scala monumentale in un altro clima culturale.


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